“Se tempestivamente diagnosticata e curata, può migliorare la qualità della vita nelle donne sofferenti rendendole giustizia dal momento che vengono etichettate come malate immaginarie”
Intervista di Desire’ Sara Serventi
Il dottor Romualdo Nieddu è un dirigente della Struttura Complessa di Ginecologia Oncologica dell’Azienda Ospedaliera di Rilievo Nazionale e di Alta Specializzazione di Cagliari, che ci ha spiegato in maniera chiara e dettagliata che cosa si intende per vulvodina. Sledet.com ha raggiunto il noto ginecologo che con estrema cordialità si è mostrato disponibile a rispondere alle domande a lui poste su questa sindrome.
Cosa si intende per vulvodinia?
Per vulvodinia si intende una sindrome caratterizzata da dolore, bruciore e ipersensibilità della vulva, il più delle volte senza segni apparenti.
Quante forme si presentano?
Si presentano due forme: localizzata detta vestibolodinia e generalizzata o vulvodinia propriamente detta. La vestibolodinia è la forma più frequente ed interessa 80% delle pazienti affette è più frequente nell’età fertile. Interessa il vestibolo vulvare o il clitoride. La vulvodinia generalizzata interessa il 20% delle donne ed insorge in premenopausa e menopausa. La componente dolore è più frequente nella vestibolodinia. Si distingue: una forma spontanea dove anche in assenza di uno stimolo si avverte dolore e fastidio; una forma provocata quando si manifesta in seguito ad uno stimolo. La sua incidenza è sottostimata però si può affermare che colpisce il 10 – 15% delle donne.
Quali sono le cause?
Le infezioni batteriche e candidosi recidivanti, predisposizione genetica, lesioni del nervo pudendo, ipertono pavimento pelvico, traumi sessuali, interventi chirurgici ostetrici e ginecologici, attività sportive che prevedono una prolungata pressione sulla vulva quali bicicletta, spinning, equitazione, indumenti troppo aderenti, uso detergenti aggressivi. Qualunque siano le cause si ha una iperattivazione dei mastociti che sono cellule che appartengono al sistema immunitario che originano nel midollo osseo. I mastociti contengono al loro interno dei granuli e nel momento che vengono a contatto con gli antigeni si aprono e liberano il loro contenuto nel tessuto che devono difendere. In questi granuli sono contenute diverse sostanze tra le quali l’istamina, la sostanza P ed in particolare l’NGF che è il fattore di crescita dei nervi e stimola la formazione di nuove terminazioni nervose dolorifiche amieliniche all’interno del tessuto interessato rendendo la zona ipersensibile. Il dolore provoca la contrazione del muscolo pubo – coccigeo e di conseguenza si crea il restringimento dell’ingresso vaginale.
Quali sono i sintomi che si manifestano?
È bene distinguere i sintomi in base alle due forme. Nella vestibolodinia prevale la componente dolore. Si ha dispaurenia introitale, ossia dolore alla penetrazione soprattutto in vicinanza degli sbocchi delle ghiandole del Bartolini e di Skene, nella commessura labiale posteriore meglio conosciuta come forchetta e sul clitoride. I sintomi in generale sono: bruciore alla pressione con sensazione di ferro rovente, sensazione di irritazione e abrasione, sensazione di micro-tagli, sensazione di tiramento dei peli intorno alla vulva, edema vulvare. Il sintomo dominante è rappresentato dal dolore. Nella forma generalizzata i sintomi più frequenti sono: bruciore, prurito, sensazioni di spilli, il dolore è meno frequente e così pure la dispareunia. In genere all’esame visivo non si vedono segni di infiammazione. Assieme ai sintomi vulvari ci possono essere disturbi urinari come urgenza minzionale, dolore uretrale e stranguria.
La diagnosi come si fa?
Come prima cosa è necessario escludere tutte le patologie a localizzazione vulvare che possano dare dei sintomi simili anche se talora qualcuna di esse si associa. In particolare è necessario escludere i casi di lichen planus e sclerosus, psoriasi, dermatiti da contatto, distrofie della menopausa. La diagnosi viene fatta con lo swab test evidenziando allodinia con un tocco leggero di un cotton fioc ed inoltre dal tempo che la paziente riferisce sulla comparsa del dolore vulvare.
La vulvodinia si può prevenire?
Con un corretto stile di vita si potrebbe prevenire curando l’alimentazione, riducendo alimenti irritanti ricchi di ossalati e bevendo acqua in modo adeguato. È importante evitare biancheria intima colorata, sintetica, collant e pantaloni aderenti che provocano una pressione costante sulla vulva, questi indumenti fanno aumentare la sudorazione senza far traspirare la cute. Usare assorbenti in cotone, foglia di bambù o meglio la coppetta mestruale nei casi in cui non ci sia ipertono. Evitare salva slip in quanto possono incrementare le secrezioni per cui in genere vengono usati. Evitare la depilazione integrale che potrebbe favorire il contatto diretto con shampoo o bagnoschiuma. Evitare detergenti aggressivi e profumati e per il bidet prediligere solo acqua calda. Asciugare la vulva con carta tipo scottex tamponandosi. Utilizzare sempre dei lubrificanti al fine di evitare attriti col rapporto sessuale che potrebbe scatenare delle cistiti postcoitali. Evitare l’uso sconsiderato di antibiotici e antimicotici. È fondamentale curare l’alvo regolarizzando la funzionalità intestinale perché un’ampolla rettale ripiena di materiale fecale comprime il nervo pudendo.
Quali le terapie utilizzate?
La terapia è incentrata su tre punti: riduzione dell’infiammazione, regolarizzare la trasmissione nervosa, rilassamento della muscolatura del pavimento pelvico. Tante terapie sono state proposte ed ognuno segue i suoi schemi secondo la propria esperienza. Il cardine della terapia è contrastare l’iperattivazione dei mastociti utilizzando aliamidi, quercetina, antidepressivi, benzodiapine, miorilassanti, polivitaminici. Fondamentale è la collaborazione con esperti in riabilitazione del pavimento pelvico e utilizzo di device a radiofrequenza, tecar, ossigenoterapia, elettroporazione. Personalmente non sono favorevole ad un trattamento chirurgico.
Vi è qualche nuova possibilità terapeutica?
Una nuova possibilità terapeutica è data dalla terapia cosiddetta PRC che consiste nella biorigenerazione con plasma autologo ricco di piastrine. Questo è un trattamento mininvasivo privo di rischi ed effetti collaterali in quanto si utilizzano componenti del proprio sangue. Altra possibilità è data dal ruolo della cannabis e del CBD. I cannabinoidi sono un trattamento consolidato del dolore neuropatico. Importante è l’utilizzo del CBD (cannabidiolo) in gel veicolato con l’elettroporazione vestibolare transmucosa. Il CBD disciolto nel gel rappresenta la frazione non psicogena che lavora sui recettori dell’aggancio massimizzando il suo effetto dove c’è il dolore con assenza di effetti collaterali. Il trattamento consiste in un trattamento settimanale per sei settimane. In questa sindrome sono necessari almeno sei mesi prima di vedere dei miglioramenti importanti e il percorso sarà caratterizzato dall’alternarsi di miglioramenti e peggioramenti.
Vuole aggiungere altro?
Concludendo mi piace dire come sostengo da anni che questa sindrome rappresenta una neuropatia a localizzazione ginecologica che, se tempestivamente diagnosticata e curata, può migliorare la qualità della vita nelle donne sofferenti rendendole giustizia dal momento che vengono etichettate come malate immaginarie.
Sledet.com ringrazia per l’intervista il dottor Romualdo Nieddu, e ad maiora!
Dottor Romualdo Nieddu
Cagliari
Grazie di aver approfondito …