“I nostri interventi riguardavano tutto quello che aveva a che fare con l’antiterrorismo, il crimine organizzato di alto livello e quant’altro”
Intervista di Desirè Sara Serventi
Si è fatto un nome degno di stima a livello internazionale il capitano Giancarlo Candiano Tricasi, infatti può vantare un’importante carriera nei corpi speciali militari esteri. Ha prestato servizio sia in Spagna che negli Emirati Arabi, dove si è fatto notare sin da subito per le sue grandi competenze militari, tanto che ha ricevuto due medaglie al merito per aver portato a termine delle importanti operazioni di antiterrorismo. La sua specializzazione è quella di istruttore sniper e ma oltre a questo si occupa anche di altre mansioni, tutto quello che un operatore delle forze speciali può arrivare a fare quando raggiunge il massimo livello di competenze acquisibili nel settore. Sledet.com ha raggiunto il capitano Giancarlo Candiano Tricasi che si è raccontato.
Quando nasce la sua passione per il mondo militare?
È una passione che è cresciuta insieme a me, anche perché provengo da una famiglia sia di Carabinieri, che di avvocati, quindi posso sicuramente dire che il settore militare era abbastanza radicato in famiglia. Per questo decisi, non appena raggiunsi la maggiore età, di arruolarmi come volontario nell’esercito.
Qual è stato il suo percorso nell’esercito?
Il mio percorso formativo mi ha portato ad entrare prima nella Brigata paracadutisti Folgore, poi sono diventato un fuciliere assaltatore e infine un incursore del 9° reggimento.
Potrebbe descrivere la figura dell’incursore?
L’incursore rappresenta il soldato per eccellenza delle forze speciali, infatti è un operatore abilitato a svolgere qualsiasi tipo di attività, sia essa in mare, in cielo o in terra.
Poi decise di trasferirsi in Spagna. È corretto?
Sì, decisi di trasferirmi in Spagna e ci restai fino al 2011. Durante quel periodo ho investito molto sulla mia formazione, infatti ho frequentato tantissimi corsi in tutte quelle nazioni che si caratterizzavano per avere un’alta preparazione delle forze armate.
Questo cosa le permise?
Mi permise di condividere con i loro istruttori le varie tecniche militari. Sono stato in Israele, in Sud America, negli Stati Uniti, in Inghilterra, per citarne alcuni, e in ognuno di questi posti, ho assorbito tutte le varie tecniche specialistiche che utilizzavano, le ho messe insieme e ho fatto una selezione usando quelle migliori e unendole, con quelle che già conoscevo.
Queste conoscenze le furono subito utili?
Sì in quanto mi diedero la possibilità di fare l’istruttore di tiro presso la scuola di polizia della Catalogna, la cosiddetta “mossos d’esquadra”. Tutto ciò che guadagnavo lo investivo per migliorarmi ulteriormente, in quanto il mio obiettivo era quello di arrivare ad avere una formazione di alto livello, e per questo dovevo necessariamente continuare a formarmi a livelli sempre più superiori e completi.
Lei comunque si scelse anche un piano b?
Decisi di iscrivermi all’università di Barcellona, e infatti mi laureai in criminologia. Con la laurea in tasca, presi altri due master, uno in psicologia criminale e uno in profili criminali e scienze criminologiche.
Da che cosa fu dettata la scelta di intraprendere questi studi?
La scelta fu semplicemente dettata dal fatto che, per ovvi motivi, sapevo che non sarei potuto essere operativo per tutta la vita, quindi, il mio intento all’epoca, era quello di studiare per avere delle competenze per poter svolgere, in un futuro un’altra professione.
Ci vuol raccontare di cosa si occupava per la precisione in Spagna?
Svolgevo il lavoro di direttore di sicurezza e agente di scorta, infatti il Ministero degli Interni spagnoli dava la possibilità, studiando e preparandosi, di sostenere un esame dove venivano date le credenziali che consentivano di avere il distintivo e l’abilitazione come agente di scorta e direttore di sicurezza.
Questa abilitazione aveva validità solo in Spagna?
No, con questa abilitazione potevo, e tutt’ora posso, svolgere la funzione di agente di scorta privato, nei Paesi che lo permettono. Nel resto del mondo invece, dà la possibilità di poter svolgere l’incarico di direttore di sicurezza.
Come proseguì il suo lavoro?
Per merito di questa abilitazione, lavorai per alcuni anni in un gruppo di scorta che girava il mondo nelle zone ad alto rischio, proteggendo persone di alto livello. Mi recai in Sud America e in parte dell’Africa. Quindi che dire, facevo un paio di mesi all’estero e poi ritornavo a Barcellona.
Poi cosa accadde?
Accadde che aprirono un centro d’addestramento in Spagna e a quel punto, mi chiesero di far parte del team degli istruttori. Ovviamente accettai e fu un successo enorme perché arrivavano da noi da tutte le parte dell’Europa per farsi addestrare e fare i corsi. In seguito mi fu dato l’incarico di capo istruttore e rimasi a lavorare con loro fino al 2011.
Qual è la sua specializzazione?
Quella di sniper, e mi occupo di tutto quello che l’operatore di forze speciali può arrivare a fare al massimo livello e ho inoltre, la qualifica da istruttore nella maggior parte di queste discipline.
Lasciata la Spagna è iniziata per lei una nuova esperienza lavorativa. Come è approdato negli Emirati Arabi?
Tramite un mio amico che ricopriva il ruolo di direttore di sicurezza per uno sceicco negli Emirati Arabi. Un giorno mi chiamò dicendomi che necessitava di una persona di fiducia che lo sostituisse in questo lavoro. E fu così che mi traferì negli Emirati Arabi, per la precisione ad Abu Dhabi, prestando servizio per questo sceicco.
Poi cosa fece?
Dopo alcuni mesi partecipai ad un concorso. Infatti, stavano creando un nuovo gruppo di intervento speciale della polizia e cercavano una figura da ufficiale operativo e capo istruttore. Per farla breve passai il concorso e fu così che entrai a far parte della polizia degli Emirati Arabi con il grado di sottotenente.
Quanto rimase al loro servizio?
Firmai un contratto di otto anni diventando poi tenente e successivamente Capitano, il grado con il quale mi congedai.
Come fu questa esperienza?
Non fu certamente una cosa semplice. Era molto complicato riuscire a gestire quel territorio ed anche quel tipo di popolazione. Per intenderci, avevamo l’assetto da combattimento tutti i giorni. Svolgevamo le funzioni di polizia federale. Noi coprivamo tutto il territorio, tranne quello di Dubai che ha un sistema a parte, infatti hanno la loro polizia.
Cosa facevate nello specifico?
I nostri interventi riguardavano tutto quello che aveva a che fare con l’antiterrorismo, il crimine organizzato di alto livello e quant’altro. Noi venivamo chiamati “last chance”, che vuol dire “l’ultima opzione”.
Per quale motivo vi chiamavano in questo modo?
Perché noi intervenivamo là dove tutti gli altri avevano fallito. Per intenderci, ci chiamavano per risolvere il problema in forma radicale.
Poi lei venne scelto come ponte di collegamento tra l’arma dei Carabinieri e la Polizia degli Emirati Arabi. Può raccontarci?
Collaborai, come molte altre volte, con l’arma dei Carabinieri per realizzare un progetto di interforce tra i due Paesi con l’appoggio del comando generale dell’arma dei carabinieri. Fu un progetto molto voluto sin dall’inizio anche dall’allora ministro della difesa italiano e quindi cercammo di portarlo in porto.
Durante il suo operato negli Emirati Arabi ha ricevuto dei riconoscimenti. È corretto?
Sì, sono stato l’unico italiano della storia a ricevere due medaglie al merito da parte dello sceicco vicepresidente e dello sceicco ministro degli interni degli Emirati Arabi. Queste medaglie mi furono date per aver portato a termine delle operazioni importanti di antiterrorismo.
Qual è la cosa che diceva ai suoi uomini prima di partire per una missione ad alto rischio?
Concentrati, occhi aperti, team work, andiamo, finiamo e torniamo tutti insieme ed interi.
Lei ha un percorso formativo e lavorativo d’eccezione. Quale reputa l’esperienza più significativa per la sua carriera?
Sicuramente quella negli Emirati Arabi è stata l’esperienza militare formativa e lavorativa più importante della mia vita.
Durante queste missioni ha mai avuto paura?
Bisogna tenere in considerazione un punto molto importante, noi siamo addestrati a gestire la paura non a combatterla, perché nel momento in cui combattiamo la paura, la neutralizziamo, e neutralizzarla mette in rischio non solo il singolo ma tutta la squadra. Non bisogna mai sottovalutare la situazione.
Potrebbe essere più preciso?
Sottovalutare la situazione vuol dire considerare l’operazione poco rischiosa, ed è proprio lì che ti fregano. Per questo motivo noi conviviamo con questa paura, che è una paura amica e non nemica. Nel momento in cui diventa nemica, è quando scatta l’allarme e allora, è in quel momento che bisogna saperla gestire.
Da quanto dice si evince che è importante non solo l’addestramento fisico ma anche quello mentale. È corretto?
Certo, anche perché noi fisicamente siamo eccellentemente preparati, ma mentalmente dobbiamo esserlo molto di più.
Che caratteristiche deve avere una persona per far parte di questi corpi speciali?
Le caratteristiche basiche sono poca impulsività, ponderatezza, spirito di sacrificio, vocazione ed una ottima forma fisica. Tutto il resto si crea con il tempo.
Come vi rapportavate con i criminali che catturavate?
Non mediavamo parola. La nostra funzione era quella di andare a risolvere il problema alla radice, in forma radicale, nel minor tempo possibile e con la miglior effettività possibile, cercando di creare meno conflitto, che significava portare a termine l’operazione con zero vittime. Per fare questo ovviamente bisogna avere un grande “team work”, che permetteva di lavorare velocemente e in sicurezza.
Quanto è importante la fiducia reciproca tra gli operatori?
La fiducia deve essere totale. È vero che noi siamo un team, ma siamo anche una persona sola, perché ognuno si deve occupare totalmente del suo ruolo e dimenticarsi dell’altro. Ognuno deve avere una fiducia totale in quello che sta facendo il collega che gli sta a fianco e deve essere concentrato a portare a termine il suo di lavoro. Se uno sbaglia tutti pagano.
Vi è una frase che ricorda più di altre, che è stata a lei detta durante una missione?
Ci sono state molteplici missioni e tante frasi che le ricordano ma durante i miei otto anni in Medio Oriente feci una intossicazione di Inshallah che significa, se Dio vuole.
Avevate delle regole di ingaggio?
Chiaramente le regole d’ingaggio vi erano e venivano stabilite durante il briefing e si basavano su molteplici fattori, quale potava essere il Paese dove l’operazione si sarebbe svolta o il livello di zona di rischio, o ancora gli accordi nazionali e internazionali che vi erano tra gli Stati. In ogni caso il nostro obiettivo era quello di arrivare nel minor tempo possibile per neutralizzare il soggetto evitando che questo diventasse una vittima.
Dopo queste missioni cosa vi portavate a casa?
Nella nostra mente sicuramente tanta immondizia. Noi siamo tutti operatori formati e creati per fare questo. Il nostro lavoro non è semplice, per questo motivo non tutti fanno gli operatori di forze speciali e non tutti riescono a fare questo percorso.
Voi dovevate essere sempre disponibili per una nuova missione. In quanto tempo dovevate essere reperibili?
Avevamo più o meno trenta minuti di reperibilità per arrivare alla base e da lì poi, si svolgeva il briefing per l’operativo. Il discorso cambiava se uno si trovava in ferie o in licenza. In quel caso se c’era un operativo bisognava rientrare subito, e il tutto ovviamente in totale segretezza.
Vi è una missione che le ha lasciato l’amaro in bocca?
Potrei dire che ve ne sono state varie ma sicuramente la risposta più corretta, riguarda tutte le missioni dove si è dovuto aprire fuoco e ancora peggio, a volte purtroppo con vittime.
Per la sua esperienza qual è il sacrificio più grande di questo lavoro?
Sacrificare in molti casi la vita familiare. Dare priorità del quale altri non terrebbero nemmeno conto. Vivere una vita più sacrificata ma piena di grandi soddisfazioni.
Cosa ha rappresentato per lei il suo lavoro?
Ha rappresentato la mia vita. Se non fosse stato per il mio lavoro e la mia forza di volontà, non sarei arrivato a certi livelli. Ho dovuto cambiare il passaporto perché i timbri non ci stavano più, o girato i posti non come turista ma mi sono fermato nei vari luoghi e ho conosciuto tante culture, perché bisogna vivere nel luogo per imparare e la mia fame di imparare è stata illimitata.
Lei è anche un atleta che pratica il triathlon ed è salito sul podio tantissime volte. Vuol parlarne?
Il triathlon è uno sport durissimo dove chi lo pratica, deve sacrificarsi tutti i giorni con tantissime ore di allenamento. Ci vuole strategia a livello fisico e mentale per raggiungere il risultato.
Come si è avvicinato a questa disciplina?
Come operatore delle forze speciali noi siamo preparati fisicamente, infatti di base siamo tutti degli atleti. Nel mio caso sono sempre stato appassionato di corsa e ciclismo e alcuni anni fa un mio amico mi fece conoscere questa disciplina. Decisi quindi di partecipare e alla mia prima gara vinsi e da allora non mi sono più fermato.
Quante volte è salito sul podio?
Ho fatto sedici podi di vittorie, che comprendono vittorie intercontinentali e altre gare importanti.
Recentemente è stato pubblicato il suo libro dal titolo “Criminology”. Che cosa racconta?
È un libro che vuol dare ai lettori la possibilità di chiarire molte lacune e molti dubbi sul tema criminologico. Spiega che cos’è la criminologia, spiega la differenza tra criminologia e criminalistica, parla dei disturbi della personalità, si parla anche di mafia e terrorismo.
Su che chiave ha scelto di raccontare questi temi?
Ho scelto di raccontare il tutto nella forma più semplice possibile. Ho notato, infatti che i libri che hanno come tema la criminologia spesso risultano essere troppo articolati, quindi ho voluto rendere la lettura il più agevole possibile.
Durante la stesura, qual è stata la parte più difficile da affrontare?
Sicuramente quella dell’analisi di alcuni serial killer, o ancora quando si parla di pedofilia e cannibalismo, anche perché spesso questi soggetti sono difficili da riconoscere, con la conseguenza che ci si può imbattere in loro senza nemmeno accorgersene.
Il testo è arricchito da alcune testimonianze. È corretto?
Sì vi è la testimonianza del giornalista Giampiero Cannella, un caro amico che ha lavorato molto sul tema anti mafia e quindi ha voluto, con la sua testimonianza, arricchire il testo. Poi vi è la testimonianza della dottoressa Gulisa Musina, specialista in neurologia che ha voluto dare la sua opinione sulla parte “neurologia violenza”. Poi vi è Alex Pineschi che ha raccontato l’antiterrorismo, infatti lui è stato il primo volontario italiano ad aver combattuto l’Isis.
A breve uscirà un suo nuovo libro. Può anticiparci qualcosa?
Posso dire che dopo tanti anni ho deciso di scrivere un libro su quello che ho vissuto negli Emirati Arabi, infatti il titolo è “Otto anni in Medio Oriente”. Il libro è scritto insieme al mio amico giornalista Michele Traversa. Non essendo ancora uscito, non posso aggiungere altro.
Che consiglio può dare ai giovani che vorrebbero intraprendere la sua professione?
Posso sicuramente dire che questa è una professione che si può fare solo per vocazione. Chi vuole svolgere questo lavoro non deve pensare all’aspetto economico né tantomeno a farsi una famiglia, perché non è semplice riuscire a unire le due cose. È sicuramente una professione dove bisogna creare delle priorità.
Chi è Giancarlo quando non è un istruttore sniper?
Sono una persona molto tranquilla che ama vivere la vita intensamente in tutte le sue sfaccettature.
Attualmente in cosa è impegnato?
Sono concentrato nella mia attività di criminologo con l’appassionante analisi di certi soggetti e in procinto dell’attesissimo faccia a faccia con il pentito di Cosa Nostra, Vincenzo Calcara valutando l’attendibilità delle sue dichiarazioni che hanno sicuramente fin ora creato scalpore. Oltre a questo mi occupo anche di formazione per forze dell’ordine italiane e estere.
Sledet.com ringrazia per l’intervista il capitano Giancarlo Candiano Tricasi, e ad maiora!