Colonne sonore cinematografiche: intervista al compositore Marco Werba


 “Il compositore che lavora per il cinema deve essere in grado di interpretare i pensieri del regista e le esigenze del film, trasformandoli in musica”

Intervista di Desirè Sara Serventi

Luci dei riflettori puntati sul compositore di colonne sonore cinematografiche, il maestro Marco Werba, che negli anni è riuscito a far parlare di sé per le musiche da lui realizzate. La sua prima esperienza per il cinema è stata con il film “Zoo”, dove la sua composizione musicale ha subito ricevuto un riconoscimento; da allora sono tanti i film le cui musiche portano la sua firma, tra cui “Giallo” di Dario Argento, per cui vinse addirittura tre premi. Sledet.com ha raggiunto il noto compositore che con cordialità si è raccontato.

Se le chiedessi di raccontarsi cosa risponderebbe?

Sono una persona che ha dedicato parte della sua vita alla cultura. Il primo amore è stato il cinema, poi è arrivata la musica.

Quando nasce la sua passione per il mondo delle colonne sonore?

Ho scoperto la passione per il mondo delle colonne sonore dopo aver visto il film di fantascienza “Logan’s run”, di Michael Anderson, con le musiche del premio Oscar Jerry Goldsmith che poi ho avuto il piacere di conoscere. Andai a vedere il film con mio padre e rimasi molto colpito dal film. Andai a rivederlo e di colpo mi accorsi che c’era una musica straordinaria che non avevo notato la prima volta che andai a vederlo. Il pubblico assorbe a livello inconscio gli effetti che la musica può dare. Non si accorge che quella forte emozione è data dalla presenza del commento musicale e non tanto dalle immagini, perché la percepisce come “emozione”, non come musica. Sono poche le persone che riescono ad analizzare i vari elementi che fanno parte del film (la recitazione, la fotografia, la musica, gli effetti sonori). Quando avevo 14/15 anni ho realizzato tre cortometraggi in Super 8 e pensavo di diventare un regista. Il destino ha scelto un’altra strada per me e sono lieto di aver iniziato questo percorso, nel 1987.

Dove si è formato?  

Ho prima iniziato con lezioni private di solfeggio e armonia, poi sono andato al “Mannes College of Music” di New York e ho seguito corsi di composizione, orchestrazione e anche musiche per film. C’era un docente che si chiamava Jacob Stern, che ci descriveva una scena di un film senza farci vedere le immagini e noi dovevamo scrivere una musica che potesse essere in sintonia con quella descrizione. La cosa interessante è che il giorno dopo avevamo a disposizione un’orchestra Jazz, formata da studenti di quella scuola, che eseguiva i nostri lavori. Il docente registrava le musiche con un registratore a bobine “Revox” e poi commentavamo il risultato. Diciamo che è stato un primo approccio per capire le funzioni della musica applicata. Alcuni anni dopo mi sono convinto a iscrivermi al Conservatorio di Frosinone per seguire la classe di composizione corale e direzione di coro tenuta dal Maestro Colomba Capriglione, un’eccellente didatta e una persona che stimo.

Il suo primo lavoro per il Cinema è stato con il film “Zoo” per il quale ha ricevuto il premio Colonna Sonora. Vuole parlare di questa sua prima esperienza?

Nel 1987 inviai una mia composizione dal titolo “Adagio per i sopravvissuti” ad alcuni registi che stavano preparando un lungometraggio. Uno di questi era Cristina Comencini, che stava lavorando al suo primo film “Zoo”, interpretato da una giovane Asia Argento, Marco Parente, Daniel Olbrychski e Louis Ducreux. Mi chiamò dicendo che aveva apprezzato il mio brano e che pensava di usare nel suo film soprattutto musica classica ma c’era uno spazio per un tema originale. Questa è stata la mia salvezza. Se avesse voluto un compositore per scrivere tutta la colonna sonora avrebbe preso uno con esperienza, non un ragazzo di 25 anni alle prime armi. Poi la situazione si è capovolta e alla fine c’erano molti brani di musiche originali e solo due composizione classiche “Jeux” di Debussy e “Le jardin féerique” di Ravel che aveva scelto lei e che funzionavano molto bene con le immagini. Una collaborazione importante che purtroppo non ha avuto un seguito a causa di una discussione che abbiamo avuto al termine del lavoro. Io comunque le sarò sempre grato di avermi dato l’occasione di iniziare questo percorso professionale con un film di qualità.

Ci vuole raccontare il suo percorso professionale dopo “Zoo”? 

Negli anni successivi ho lavorato su film interessanti ma che non hanno avuto una vera distribuzione. Mi riferisco a “A Dio piacendo” di Filippo Altadonna, “Amore e libertà, Masaniello”, “Anita, una vita per Garibaldi” di Aurelio Grimaldi, “I fiori del male” di Claver Salizzato, “Calibro 10” di Massimo Ivan Falsetta, “Pop Black Posta” di Marco Pollini, “Dead on Time” di Rish Mustaine, “Il gatto e la luna” di Roberto Lippolis e “A Kidnap” di Lee Greenhough. Ci sono film che purtroppo non riescono a trovare una distribuzione nelle sale cinematografiche e spesso rimangono nel “cassetto”.

Per che cosa si caratterizza un compositore che lavora per il cinema?

Il compositore che lavora per il cinema deve essere una persona molto sensibile in grado di interpretare i pensieri del regista e le esigenze del film, trasformandoli in musica. Spesso i registi hanno paura del silenzio e tendono a mettere troppi effetti sonori e troppa musica. Cerco sempre di convincere un regista ad inserire nel film meno musica ma a valorizzare quella che è presente. Non mi piace la definizione che spesso danno della musica applicata come “musica di sottofondo”. Ci sono casi in cui il commento musicale può essere protagonista e non deve essere in sottofondo. In questo non condivido molto il metodo che hanno gli americani nei film d’azione, in cui mettono il commento musicale sotto agli effetti sonori, anche se c’è un’orchestra sinfonica che sta suonando fortissimo. Per me non ha senso. A quel punto conviene fare una scelta; si lasciano solo gli effetti sonori o si alza la musica. Un modo di comunicare con il regista è quello della “temp track”, ossia una musica provvisoria inserita dal regista per dare un’idea di quello che vuole. Questo può essere effettivamente utile ma spesso il regista si affeziona troppo a quella musica e il compositore è costretto a fare qualcosa di molto simile.

Quale considera l’esperienza più significativa per la sua carriera?

Il film più importante che ho fatto finora è stato “Giallo” di Dario Argento. Nonostante il film abbia ricevuto recensioni negative e non abbia avuto successo al box office per me è stato un film importante che mi ha portato a vincere tre premi.

Come è approdato nel film “Giallo”? 

Sono stato coinvolto nel film per caso. Le musiche avrebbero dovuto essere scritte da Claudio Simonetti, che negli ultimi anni è stato il compositore di fiducia di Dario Argento. La produzione statunitense però cercava un compositore più specializzato nelle musiche orchestrali e meno indirizzato verso il rock. Il produttore statunitense Richard Rionda Del Castro “Hannibal Pictures” mi chiese di scrivere un “demo musicale”. Senza aver visto neanche una scena del film scrissi un tema in due versioni e lo inviai. Per due settimane non ebbi risposta. Poi il produttore mi inviò un messaggio in cui mi chiedeva di chiamarlo a Los Angeles. Lo chiamai e mi disse che ero stato scelto per le musiche del film essenzialmente per due motivi: gli erano piaciuti i demo che avevo inviato e vivevo a Roma dove vive anche Dario Argento. Ho saputo poi che Adrien Brody era il supervisore delle musiche e che diede il suo parere positivo nei miei confronti anche se non l’ho mai incontrato di persona. Dario Argento mi conosceva di vista andavo sul set di “Zoo” e lo incontravo quando veniva a riprendere sua figlia ma non credo che conoscesse i miei lavori. La produzione mi organizzò una chiamata con lui e ci incontrammo nella sua casa. Lui mi fece vedere il film e iniziai a lavorare sulle musiche. Andai a trovarlo un paio di volte per fargli ascoltare i “demo” e lui a un certo punto mi disse che si fidava di me e che non c’era bisogno di incontrarci fino al giorno della partenza per Sofia, per andare ad incidere la colonna sonora con la Bulgarian Symphony Orchestra, insieme al fonico Marco Streccioni. Una responsabilità enorme perché avevo solo un giorno per incidere tutte le musiche e se lui mi avesse chiesto delle modifiche non ci sarebbe stato il tempo materiale per farle. Per fortuna andò tutto bene e Dario poi partì per gli Stati Uniti per montare e missare le musiche con i dialoghi e gli effetti sonori. Quando tornò mi disse che gli americani erano rimasti molto contenti della colonna sonora. Purtroppo il film è andato male e lui non ha un buon ricordo di questo suo lavoro.

La colonna sonora ha vinto tre premi. Cosa hanno significato per lei questi riconoscimenti? 

Vincere un premio è sempre molto importante. Diciamo che è un riconoscimento per il lavoro svolto. Un lavoro che spesso non viene percepito dal pubblico e un premio, così come un cd con le musiche del film, è un modo per riscattarci e uscire dall’anonimato. Sono pochi i compositori di colonne sonore conosciuti dal pubblico. Ennio Morricone e Nicola Piovani sono due illustri eccezioni.

Tanti i film cui colonne sonore portano la sua firma. Vuol nominarne qualcuna in particolare?

Un paio di anni fa ho scritto le musiche per un film d’autore albanese dal titolo “Inane”, un film con una splendida fotografia di Nino Celeste. Questo è uno dei lavori al quale sono più affezionato. In quel film ho anche avuto l’occasione di usare per la prima volta il mio “Adagio per le vittime di Auschwitz”, per oboe e archi. Una composizione nata quando ero allievo del “Mannes College of Music” che ha avuto poi uno sviluppo nel corso degli anni. Ho poi trovato un editore, Antonello Martina della “Soundiva Classical” che ha finanziato l’incisione con l’orchestra di Budapest e mi ha dato l’occasione di usarla in questo raffinato film. Con il regista Besnik Bisha abbiamo già un altro progetto cinematografico che spero si realizzerà entro il 2022.

Vuol parlarci delle sue preferenze stilistiche?

Diciamo che sono un compositore “neoclassico” che ama inserire degli elementi moderni o inusuali nei propri lavori. Per “Zoo” di Cristina Comencini ho usato il flauto dolce basso quasi mai usato nel cinema mescolato con il suono di un’ocarina. In altri film come “Colour from the dark” di Ivan Zuccon, “The Inflicted” di Matthan Harris e “Seguimi” di Claudio Sestieri il linguaggio è contemporaneo, pur usando strumenti tradizionali come l’orchestra d’archi, mescolati con suoni elettronici e etnici.

Come si realizza una colonna sonora per un film? 

Leggendo la sceneggiatura se il film non è stato ancora girato e poi lavorando sulle immagini, fotogramma per fotogramma. Ho scritto un libro dal titolo “La musica nel cinema thriller” edito da “Falsopiano”, che è l’unico libro in Italia su questo argomento specifico, scritto da un compositore, dove si analizza il metodo di lavoro con il regista, il produttore e il montatore. Nel libro ho anche inserito ed analizzato le partiture di “Giallo”.

Quanto conta avere una buona intesa con il regista? 

È fondamentale. Dico sempre che la collaborazione tra regista e compositore deve essere quella tra due artisti che si confrontano per trovare le soluzioni migliori, non tra un padre/padrone e il suo schiavo, che segue gli ordini. I registi intelligenti ascoltano le idee del compositore e le valutano senza imporre a tutti i costi le loro idee. Personalmente ho difficolta a lavorare con i registi troppo presuntuosi.

Cosa hanno in comune la musica con il cinema? 

Sono due forme d’arte in grado di comunicare forti emozioni. Quando entrano in sintonia queste emozioni vengono rafforzate avvolgendo lo spettatore con sensazioni molto intense.

Qual è il potere della musica per la riuscita di un film? 

Buona domanda. Servire le immagini con umiltà ma con personalità. Se il regista vuole avere musica sotto i dialoghi bisogna cercare di essere molto discreti, magari inserendo un brano con all’interno delle pause, dei respiri per non appesantire le immagini.

In genere quanto spazio le viene concesso per la sua creatività musicale?

Dipende dal regista con i quali si lavora. Dario Argento mi ha dato carta bianca. Altri registi tendono a voler controllare tutto perché non si fidano del compositore.

Lei lavora sia per produzioni italiane che per quelle straniere. Quali le principali differenze che ha riscontrato?

All’estero di solito c’è più rispetto per l’autore delle musiche e vi è più meritocrazia. Qui da noi, se uno non ha conoscenze con i produttori che lavorano con la Rai o Mediaset o non ha appoggi politici ha molte difficoltà a lavorare per la televisione.

La trama del film fa da filo conduttore per le sue composizioni musicali? 

Certo, la trama è fondamentale. Già dalla sceneggiatura il compositore può iniziare a pensare ai temi musicali. Però il lavoro di sincronizzazione e la conferma che quei temi sono in sintonia con il film si avrà solo quando il montaggio sarà definitivo.

Il digitale ha cambiato il metodo tradizionale di comporre la musica?

Sì, però cerco sempre di convincere gli allievi che ho avuto durante i miei corsi di musiche per film a scrivere le note, usando i programmi di notazione musicale, non a improvvisare il brano suonandolo su una tastiera. Questo perché poi diventa difficile trascrivere su pentagramma la musica che è stata improvvisata. Meglio perdere un po’ di tempo all’inizio per poi ritrovarsi con il lavoro ben impostato. È un po’ come la favola dei tre porcellini e del lupo cattivo. I primi due avevano costruito la casa velocemente usando materiali poco resistenti, il terzo aveva impegnato molto tempo per costruirla, usando i mattoni, ma solo la sua casa riesce a resistere agli attacchi del lupo. Il tempo in più che ha impiegato per costruire una casa resistente è stato speso bene.

Quale è la colonna sonora da lei scritta alla quale si sente più legato?

Probabilmente “Giallo” di Dario Argento.

Vi è un film la cui realizzazione delle musiche le ha creato una qualche difficoltà?

Sì, ci sono stati film che sono stati più faticosi di altri, soprattutto perché il regista non si fidava e cercava di controllare tutte le fasi creative. Credo che il compositore debba avere un margine di libertà e il regista debba avere fiducia in lui.

Lei dovrà tenere una masterclass sulla musica nel cinema. Vuol parlarne?

Sì, a fine luglio dovrei tenere una Masterclass a Narni sulla musica nel cinema thriller. L’unica Masterclass in Italia su questo argomento. Le persone interessate possono contattare la Narnia Arts Academy narniaartsacademy@gmail.com Questa potrebbe essere un’occasione, per i giovani compositori, per assorbire i meccanismi che permetterà loro di affrontare la scrittura di una musica per un film di genere.

Chi è Marco Werba quando non lavora come compositore? 

Una persona semplice con una famiglia. Ho due figli, Sara e Gabriele e una compagna che segue la mia attività e che mi ha aiutato nel 2020, quando ho avuto problemi di salute importanti, che sto ancora affrontando.

Che consiglio può dare a un giovane che vorrebbe intraprendere la sua professione?

Di iniziare lavorando per i cortometraggi o facendo da assistente ad un compositore. Bisogna fare la “gavetta”. Molti giovani che ho conosciuto sono molto ambiziosi e non hanno la pazienza di aspettare, di crescere a livello artistico. Vogliono arrivare subito. Hanno fatto poco o niente e già aprono un loro sito internet. Bisogna saper aspettare.

Attualmente in cosa è impegnato?

Ho completato da poco le musiche del thriller inglese “Daemon Mind” di Jason Fité e sto lavorando adesso sul film d’autore “Anna, una voce umana” remake di un film con Anna Magnani, diretto da Roberto Rossellini, per la regia di Ugo Cavaterra, prodotto da Gennaro Ruggiero con Angelica Loredana Anton.

Progetti?

Molti ma non c’è mai la certezza che vadano in porto. Il mondo del cinema è complicato.

Sledet.com ringrazia per l’intervista Marco Werba, e ad maiora!

 

 

 

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