L’attore Pietro De Silva si racconta 2


“Amo i ruoli malinconici quelli che emanano un grande pathos e che presagiscono un vissuto tormentato” 


Intervista di Desirè Sara Serventi

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Nel panorama cinematografico italiano Pietro De Silva, è un nome che certamente non passa inosservato. Si può definire un grande artista che si è sempre caratterizzato per interpretazioni di alta qualità. Una formazione la sua, appresa direttamente sul palcoscenico e perfezionata poi, giorno dopo giorno con lo studio e il lavoro sul campo, ma che associato al suo innato talento nel campo della recitazione, ha lui permesso di lavorare con dei grandi nomi del cinema italiano. De Silva ha infatti lavorato a fianco di personaggi del calibro di Sergio Castellito e Roberto Benigni, per citarne alcuni. E’ infatti sufficiente sbirciare nel suo ricco curriculum per vedere ciò che ha fatto non solo al cinema, ma anche in televisione e in teatro. De Silva recentemente è stato uno dei testiomonial de “Il premio Vincenzo Crocitti”. I microfoni di Sledet.com hanno raggiunto De Silva, che ha raccontato i suoi inizi e il suo percorso lavorativo.

Se le chiedessi di raccontarsi cosa risponderebbe?
Posso dire di essere alla fine del terzo ventennio della mia esistenza, e di entrare nel quarto. Mi sento ancora discretamente bene come un ragazzino di 15 anni, con la stessa incoscienza e lo stesso entusiasmo di allora. A volte ripercorrendo tutto quello che ho fatto, mi meraviglio di come sia passato indenne attraverso tutte le vicissitudini che accompagnano la vita di ciascuno di noi.

Rimpianti?
Non molti rimpianti, forse solo quello di non aver viaggiato abbastanza, ma penso proprio di rifarmi tra gli 80 e i 100 anni di età.

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Quando è nata la sua passione per la recitazione?
Molto presto, verso i 12 anni. Quando stavo nei boy scout, recitavo piccoli brani di commedie di Eduardo De Filippo, e sembrava che i miei amici si divertissero.

Quando fu il vero inizio?
Il vero inizio fu a 19 anni, quando leggendo un inserzione su un quotidiano dell’epoca, “Paese Sera”, scoprii che cercavano un attore per un dramma di Peter Weiss dal titolo “Mara Sade”.

Fece il provino?
Feci il provino e con mia somma sorpresa fui subito scritturato.

Come descriverebbe l’impatto con gli attori?
L’impatto con gli attori e la loro prosopopea e presunzione smisurata mi turbarono alquanto. Non immaginavo quanto si potesse essere così “str…”, cioè voglio dire per usare un eufemismo così “stravaganti” in quella maniera autoreferenziale.

Quando iniziò i lavorare a tutti gli effetti come attore?
Dal ‘78 in poi cominciai il lavoro in maniera professionale e continuativa con compagnie dei teatri stabili o compagnie come quella di Gigi Proietti, e molto altro ancora. Da quel momento in poi non mi sono più fermato.

Dove si è formato artisticamente?
Non ho avuto una vera e propria scuola. La mia scuola è stata proprio il palcoscenico. Ora sono propenso a consigliare ai giovani di prepararsi seriamente in scuole di livello, perché a mio avviso, una base di preparazione è assolutamente indispensabile. Non basta il talento. Poi di questi tempi il talento è controindicato, addirittura è un ostacolo per una carriera, paradossale e surreale ma tragicamente vero. Un provino fatto benissimo può determinare la certezza che non ti prendano. Il nostro un paese folle in cui la parola “meritocrazia” è collocata al 120° posto.

Che ricordo ha del suo esordio nel mondo dello spettacolo?
Una sensazione stranissima e difficile da descrivere. Solo sentire il brusio del pubblico dietro al sipario chiuso, prima di entrare in scena, l’odore delle tavole del palcoscenico, quell’emozione che ti porti avanti per tutta la tua vita professionale e che non ti abbandona mai, è un qualcosa che tutti quelli che hanno fatto questo mestiere sanno cosa vuol dire, è una sensazione assolutamente impagabile. Poi per chiunque voglia intraprendere questa professione, deve aver presente che il termine “impagabile” è una costante, perché quello che viene proposto economicamente ai giovani, consente a malapena di mantenere la suocera a carico e il gatto.

In quale genere predilige recitare?
Il mio specifico nei primissimi anni di carriera era il genere comico, ma mi sono cimentato tantissime volte anche in moltissimi ruoli drammatici. In generale amo i perdenti quelli che hanno avuto grosse difficoltà nella vita, con la costante delle vicissitudini quotidiane e gli ostacoli. Frutto di una mia adolescenza non proprio felicissima. Amo i ruoli malinconici quelli che emanano un grande pathos, e che presagiscono un vissuto tormentato.

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Quale reputa l’esperienza più significativa per la sua carriera?
Indubbiamente aver avuto la fortuna di partecipare ad un film che ha segnato la storia del cinema italiano: “ La vita è bella”. Ma tante esperienze mi hanno lasciato un segno.

Quali per la precisione?
“Non ti muovere” il magnifico film di Castellitto, “Anche libero va bene “ di Kim Rossi Stuart, “L’ora di religione” di Marco Bellocchio, e per la televisione il ruolo di Boris Giuliano nel “Capo dei capi”.

Lei ha lavorato sia nel cinema che nella televisione, quali sono le principali differenze che ha trovato?
Sono differenze sostanziali. Nel teatro devi rendere verosimile un ambiente che non lo è, mentre nel cinema sei immerso nel reale e forse questo ti stimola di più all’identificazione del personaggio. Sono entrambi due mezzi assolutamente straordinari, l’emozione che ti dà il pubblico sera per sera, è qualcosa che non si può descrivere. Ma il cinema mi incanta, mi lascia attonito è una continua sorpresa.

Tutto il cinema?
Quello fatto bene si intende, quello con solide sceneggiature e regie di spessore. Purtroppo si incappa frequentemente in prodotti ambiziosi che poi alla fine si rivelano solo prodotti di registi velleitari e presuntuosi.

Cosa deve avere un copione per suscitare il suo interesse?
L’imprevedibilità. Un elemento sempre più difficile da trovare nelle sceneggiature o nei testi teatrali.

Cosa può dire riguardo le sceneggiature in campo cinematografico?
Ritengo da sempre che la sceneggiatura in campo cinematografico costituisca il 70% della riuscita di un film. Il cinema italiano ha insegnato ai maestri del cinema di tutto il pianeta, in molti hanno fatto riferimento alla nostra cinematografia per realizzare le loro opere, pensiamo solo a Martin Scorsese, o Quentin Tarantino. Io potrei rivedere “Bellissima” di Visconti, “Ladri di biciclette” di Vittorio De Sica, “ Miracolo a Milano” o “Umberto D” per 400 volte senza stancarmi mai. Abbiamo un’eredità preziosissima di cui dobbiamo essere orgogliosi.

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Come regista è più un bachettone o un amicone?
Tutto sommato, né l’uno né l’altro, ma una giusta via di mezzo, tendente più all’amicone. Non bisogna mai prendersi troppo sul serio, senza per altri versi sottovalutare l’importanza di un allestimento. Bisogna essere complici degli attori e aiutarli ad esprimere il meglio di sé, una sorta di allenatore leale e orgoglioso delle sue creature.

Cosa può dire sull’industria cinematografica italiana?
Si producono un’infinità di opere che purtroppo in certi casi “per fortuna”, non hanno distribuzione. Il vero problema nel cinema italiano, è la mancanza di coraggio dei produttori, tranne rarissimi e sporadici casi, si prediligono prodotti commerciali, di facile impatto, con i soliti cast, che poi si rivelano alla fine dei flop clamorosi, e nonostante questo non c’è la volontà di cambiare, è una sorta di attrazione verso il baratro. I film di qualità, molto spesso sono relegati ai circuiti festivalieri e distribuiti in pochissime sale, o addirittura non distribuiti, quindi con pochissima visibilità. Questo va avanti da ormai diversi anni e onestamente non so se ci sia la volontà di cambiare rotta.

Quindi?
Quindi il panorama a mio avviso, è piuttosto desolante.

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Recentemente è stato scelto come testimonial per il “Premio Vincenzo Crocitti”. Vuol parlare dell’iniziativa?
E’ un iniziativa lodevole perché promuove giovani compagnie che attraverso questo premio vengono incoraggiate a continuare e migliorare la propria attività. Oltretutto è un premio intitolato ad un caratterista italiano duttile, simpatico e di grande talento, che purtroppo ci ha lasciato troppo presto.

A suo parere cosa ha rappresentato nel mondo della recitazione Vincenzo Crocitti?
Un viso che esprimeva una grandissima simpatia, umanità, tenerezza. Se Pasolini lo avesse conosciuto, sicuramente gli avrebbe affidato un ruolo di tutto rilievo nei suoi magnifici film.

Invece?
L’Industria italiana cinematografica invece lo ha utilizzato, come tanti altri caratteristi ,in ruoli che non valorizzavano il suo grande talento. Ma lui si riscattò con una delle più toccanti interpretazioni della storia del cinema, che ha emozionato tutti, e con l’immensa interpretazione di Alberto Sordi, basta questo per lasciarlo nella storia del cinema.

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Cosa può dire riguardo Francesco Fiumarella, ideatore e creatore dell’evento?
Persona deliziosa, garbata, arguta e di un’ospitalità eccezionale. Riesce con le sue sole forze ad organizzare questo premio con ospiti prestigiosi. Una piccola perla nel panorama artistico e dei festival.

Che consiglio vuol dare ai giovani che vogliono lavorare in questo settore?
Quello di armarsi di una pazienza biblica, perché se c’è una regola in questo nostro lavoro è quella che non ci sono regole. Niente in questo mestiere è un investimento. Puoi fare la più grande interpretazione della tua vita, lasciare attoniti gli spettatori e poi successivamente non avere riscontri. Poi tutto è legato alla casualità, le esperienze più straordinarie ti capitano quando meno te lo aspetti, non quando le cerchi. Inoltre prosperano decine e decine di scuole di recitazione dirette da sedicenti registi, che non formano gli attori, ma li deformano.

Che cosa intende dire?
Le scuole che preparano seriamente dei professionisti della scena, si contano sulla punta delle dita, oltretutto non è assolutamente detto che una buona scuola di recitazione ti dia l’opportunità di avere facilitato il percorso successivo. Anzi all’uscita di una scuola di citazione c’è il mare aperto nel quale devi navigare a vista.

Chi è Pietro De Silva quando si spengono le luci dei riflettori?
Sicuramente tutto, tranne che un attore. Adoro tornare nella normalità e nella quotidianità della mia vita con l’amore per la famiglia, per i figli e per tutto quello che mi stimola la fantasia, la scrittura, il cinema e il teatro da spettatore, i viaggi, e la buona cucina.

Si vocifera che lei sia un ottimo cuoco?
Mi reputano un ottimo cuoco, ho una passione enorme per i fornelli, a detta di molti pare che le mie lasagne siano straordinarie, peccato che non possono essere servite calde su Sledet.com

Attualmente in cosa è impegnato?
A breve riprendo un magnifico spettacolo diretto da Claudio Boccaccini dal titolo: “Così è se vi pare” capolavoro di Pirandello al Teatro Manfredi. Poi riprenderò al Teatro Marconi un altro caposaldo della drammaturgia di tutti i tempi: “ Aspettando Godot” di Samuel Beckett sempre per la regia di Boccaccini. Fra le altre cose è in uscita un film nel quale ha fatto una partecipazione diretta da Massimiliano Bruno dal titolo: “Beata ignoranza”, e in aprile un film di Fabio Massa “AEffetto Domino”. Infine, ho partecipato a diversi film di registi emergenti con uscite previste da aprile in poi.

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Progetti?
Progetto ineludibile, una vita serena, possibilmente immerso nelle terme di Saturnia.

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Sledet.com ringrazia per l’intervista Pietro De Silva, e ad maiora!

 


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