Intervista al soprano Silvia Dalla Benetta


“Vado ad analizzare prima l’aspetto letterario e poi quello che il compositore scrive musicalmente”

Intervista di Desirè Sara Serventi

Si può sicuramente definire un talento della lirica Silvia Dalla Benetta, noto soprano che ha avuto modo di esibirsi nei più importanti teatri italiani e non solo, dimostrando ogni qual volta si trovasse in scena la sua naturale predisposizione verso il mondo del canto e della recitazione riuscendo sempre ad adattarsi al personaggio da interpretare. Quando sta sul palco emerge in Silvia la passione e la devozione che nutre per questo lavoro, sempre svolto con grande professionalità senza mai elevarsi in atteggiamenti da diva, ma anzi mettendosi a disponibilità di chi lavora al suo fianco. Sledet.com ha raggiunto Silvia Dalla Benetta, che si è raccontata.

Quando nasce la sua passione per il mondo della lirica?
È una passione che è nata per caso. Stavo attraversando un periodo molto brutto della mia vita, avevo perso mio fratello, e per me e per la mia famiglia è stata una cosa terribile. In quel periodo frequentavo l’accademia di belle arti e ricordo che dopo la sua scomparsa, iniziai a trascurare gli studi. Poi accadde una cosa inaspettata, un giorno ascoltai alla radio un brano meraviglioso che diceva: vissi d’arte, vissi d’amore, non feci mai male ad anima viva! Praticamente era l’aria della Tosca di Puccini. Non mi vergogno nel dire che io quell’opera non la conoscevo, perché non era una musica che ascoltavo, ma ricordo che mi piacquero tanto quelle parole, e pensai che sembrava quasi una preghiera. E poi, era come se le parole fossero dedicate a mio fratello. Per farla breve acquistai la cassetta che conteneva quell’opera, perché al tempo non vi erano i Cd musicali, e iniziai ad ascoltarla e a imparare la melodia e le parole. Era cantata dalla Callas.

Poi cosa accadde?
Accade che durante una delle mie tante giornate buie, iniziai a cantarci sopra, cercando di imitare il modo di cantare e la vocalità della Callas. Improvvisamente accadde una sorta di piccolo miracolo, e come se cantando mi sentissi bene, in pace. Mi resi conto che, l’unico momento in cui non piangevo per mio fratello, era proprio quello in cui cantavo, era come se con il canto riuscissi a estraniarmi da tutto.

Iniziò quindi a studiare canto?
Più che studiare, iniziai a documentarmi e a scoprire che Puccini aveva composto altre opere, che vi era un Verdi che aveva fatto delle cose meravigliose e altro ancora. Cominciai a scegliere le opere che mi piacevano di più, senza preoccuparmi della distinzione vocale. Non sapevo che esisteva un tenore, un baritono, un basso o un soprano. Per me era tutto uguale, cantavo tutto quello che mi piaceva, anche se magari poteva non essere adatto alle mie corde, essendo io un soprano.

Lei era un’autodidatta?
Sì. In quel periodo poi mi ricontattò un’amica dell’accademia convincendomi a riprendere gli studi. Casualmente anche lei aveva la passione per la lirica, quindi decidemmo di fare l’esame di ammissione al conservatorio di Venezia. Ricordo che il repertorio che preparai era senza alcuna distinzione di voce, o meglio dire avevo inserito anche delle opere cantate solo dagli uomini.

Per quale motivo?
Perché cantavo solo quello che mi trasmetteva qualcosa, senza badare se a cantare era un uomo o una donna. Durante l’arco della giornata cantavo tantissime ore, perché solo cantando mi allontanavo dai pensieri tristi.

Ci vuol raccontare dell’esame di ammissione per il conservatorio di Venezia?
Entrai nella stanza dove svolgevano gli esami e consegnai il plico, che era praticamente nuovo perché io imparavo tutto a orecchio. Diedi il foglietto alla commissione che dopo averlo letto, mi chiese con chi avevo studiato, anche perché misi dentro di tutto e di più. Quando dissi che studiavo da autodidatta, mi invitarono a uscire un attimo dalla stanza, dovevano infatti consultarsi e decidere se mandarmi via senza neanche sentirmi oppure darmi una possibilità, anche perché pensavano che li stessi prendendo in giro.

Cosa fecero?
Ormai ero lì, quindi mi fecero rientrare e mi fecero cantare diversi pezzi e che dire, venni presa, nonostante i posti disponibili fossero solo due. Ricordo che mi dissero che avevo una voce impostata naturalmente.

Riprese anche gli studi in accademia?
Sì, aver superato l’esame per il conservatorio di Venezia mi diede la carica per riprendere gli studi e cosi iniziai a portare avanti i due percorsi contemporaneamente.

La sua voce in conservatorio non passò inosservata. È corretto?
Sì è vero, anche perché gli insegnanti iniziarono a curare la mia voce, a dare forma ai miei suoni e fu così infatti, che dopo circa un mese dal mio ingresso, il direttore del conservatorio mentre passava nell’andito, mi sentì cantare e chiese alla mia insegnante chi fosse quella persona che stava cantando. L’insegnante disse che era una ragazza che stava li a cantare a squarciagola tutto il giorno, e lui rispose che voleva sentirmi su alcuni pezzi. Fu così che gli cantai qualcosa e un mese dopo, il direttore mi propose un concerto in Fenice, da lì poi sono partiti tutti i miei concerti.

Da allora di tempo ne è passato, e lei è un nome molto noto nel campo della lirica. Che tecniche utilizza per calarsi nel migliore dei modi nel personaggio che deve interpretare?
Essendo una perfezionista mi documento bene su tutto quello che riguarda i personaggi che devo interpretare. Vado ad analizzare prima l’aspetto letterario e poi vado a sviscerare quello che il compositore scrive musicalmente, perché a volte non siamo abbastanza attenti, ma il compositore da tutte le indicazioni espressive di quello che dobbiamo fare, le pause, le note più lunghe, certi intervalli, la tonalità. Bisogna capire perché il compositore ha inserito una pausa, per capire di conseguenza che cosa voleva trasmettere. Per comprenderci è ciò che accade nella Traviata nel duetto col baritono.

Potrebbe essere più precisa?
In quel duetto le parole sono tutte spezzate perché lei in quel momento sta piangendo, quindi lo spezzare la parola è indice di angoscia. Per questo dico che dietro ogni pausa c’è un motivo.

Qual è l’opera a cui è più legata?
Non è semplice sceglierne una in particolare, anche perché sono una che si innamora dei personaggi interpretati. Arrivo dalla Lady Macbeth di Verdi e devo dire che ho fatto un lavoro meraviglioso con il direttore d’orchestra Gianluigi Gelmetti. Il maestro mi ha seguita nella preparazione, è stato molto entusiasmante lavorare con lui. Quindi trovandomi sulla scia di questo entusiasmo dico la Lady Macbeth.

Lei nel suo repertorio ha molte opere di Rossini?
Sì faccio Rossini serio, e ho fatto tante sue opere. Recentemente è uscito il mio ultimo Cd la Zelmira di Rossini e rifarò anche Elisabetta, regina d’Inghilterra.

È complicato imporsi in questo settore?
Sì è difficile imporsi. Bisogna avere una solidità psicologica per stare in questo settore, e devi essere supportato da una famiglia o da una persona che ti sostiene psicologicamente, perché può diventare molto pesante.

Quale tra le opere fatte è quella che reputa più impegnativa?
Sicuramente la Lady Macbeth è a livello vocale la cosa più pesante, così come Regina Elisabetta di Rossini è molto impegnativa, perché ci vuole anche una certa tenuta fisica e un lavoro importante sulla parola verdiana e sulla pronuncia. Diciamo che ogni ruolo è diverso e ognuno di questi ti mette alla prova su un terreno diverso.

Chi è Silvia quando non sta sotto le luci dei riflettori?
Quando non sto sotto le luci dei riflettori, sono semplicemente Silvia. Non bisogna pensare di essere dive, è una cosa che non sopporto e fuggo da questo tipo di persone. Faccio il lavoro più bello del mondo e devo essere grata per questo. Non bisogna portare il personaggio fuori dal palcoscenico, ne tantomeno lamentarsi se le prove durano un paio d’ore, anche perché in giro c’è gente che lavora molto di più, guadagnando molto meno.

Progetti?
Quando ho preso il diploma all’accademia di belle arti frequentavo il corso di pittura e siccome in questi anni, per motivi di lavoro, non ho più preso in mano un pennello, ho nuovamente intenzione di rimettermi davanti a una tela.

Sledet.com ringrazia per l’intervista Silvia Dalla Benetta, e ad maiora!

 

 

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