Intervista al fisioterapista Marco Cattaneo


Dal mondo del calcio in Italia all’hockey in Svizzera 


Intervista di Desirè Sara Serventi

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Grinta e determinazione accompagnati a tanta professionalità fanno di Marco Cattaneo uno dei fisioterapisti sportivi italiani apprezzati anche all’estero. Dal 2015 infatti Cattaneo fa parte dello staff dell’Hockey Club Lugano, dove appunto veste il ruolo di fisioterapista della squadra. Prima però di approdare in Svizzera, Cattaneo, si è fatto le ossa nella squadra del Milan, infatti è proprio nel 2009 che per lui si presenta la grande svolta, quando arriva l’occasione di fare un colloquio per entrare a lavorare nello staff del Milan. Un percorso durato dal 2009 fino al 2015, quando decide di voler aprire i suoi orizzonti verso altri contesti sportivi, in quanto esperienze lavorative differenti danno la possibilità di acquisire delle abilità che poi si possono trasferire in altri sport. Cattaneo predilige la terapia manuale ed è un forte sostenitore dell’esercizio terapeutico per gli sportivi. I microfoni di Sledet.com hanno raggiunto Marco Cattaneo, che ha parlato non solo del suo percorso lavorativo, ma anche del suo attuale incarico presso l’Hockey Club Lugano, una squadra competitiva che punta a raggiungere i massimi livelli in uno dei campionati più importanti al mondo.

Quando nasce la sua passione per il mondo della fisioterapia?
Nasce principalmente dalla passione che ho sempre avuto per lo sport. Durante il corso di laurea, mi sono poi appassionato alla terapia dei disordini neuromuscoloscheletrici.

Potrebbe essere più preciso?
Io ho praticato e praticato tutt’ora arti marziali, raggiungendo anche dei discreti livelli, nel 2006 infatti ho vinto i Campionati Europei di Kempo. Diciamo quindi che la mia idea è stata, una volta finito il liceo, di lavorare in un settore che mi potesse comunque collegare al mondo dello sport, ma che mi desse anche la possibilità di avere degli altri cambi nel caso in cui la questione dello sport non fosse andata in porto.

Quindi?
Mi sono laureato in Fisioterapia nel 2004 presso l’Università degli Studi di Milano.

In cosa si è specializzato principalmente?
Nella terapia ortopedica, che comprende sia il paziente sportivo che i pazienti che hanno subito degli interventi ortopedici, e poi nella terapia manuale, che riguarda le mobilizzazioni e le manipolazioni, che è poi quel che ho approfondito.

Poi ha deciso di confrontarsi con nuovi metodi di studio?
Sono andato in Australia a studiare e lì ho conseguito il Certificate in“Ortopedic Manual Therapy”. Dopo questa esperienza ho deciso di tornare in Italia ed applicare nel mio Paese le conoscenza acquisite.

Che differenza c’è tra un paziente sportivo, e uno invece che non lo è?
Diciamo che un paziente che va dal fisioterapista, perché ha un dolore, è un po’ diverso dal paziente sportivo, che va dal fisioterapista, più che altro, perché ha un calo delle performance, cioè il dolore non è il fattore limitante in se, ma lo è il fatto che non riesce più a fare quello che faceva prima.

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Nel 2009 arrivò per lei la grande svolta professionale?
Esatto. Mi chiesero di andare a fare un colloquio al Milan, e così nel 2009 entrai al Milan calcio dove rimasi fino al 2015, quindi per sei stagioni, infatti arrivai che come allenatore vi era Leonardo e terminai quando finì anche Filippo Inzaghi.

Mentre lavorava al Milan, per perfezionarsi sempre di più, si iscrisse ad un master in Inghilterra?
Sì, anche perché volevo consolidare e migliorare le mie basi nella fisioterapia sportiva e anche perché devo dire che mi piace studiare, così nel 2013 mi iscrissi al master in Sports Physiotherapy in Inghilterra all’Università di Bath. E diciamo che questo master mi ha un po’ aperto gli occhi rispetto al ruolo del fisioterapista sportivo.

Che cosa intende dire?
In questo master loro insistevano molto sul fatto di riuscire a fare più esperienze possibili in vari contesti sportivi, perché queste esperienze fanno acquisire delle abilità che poi si possono trasferire in altri sport.

E’ per questo che dal calcio ha puntato gli occhi verso un altro sport?
Diciamo che è anche un po’ per questo.

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Nel 2015 finita l’esperienza al Milan, che successe?
Ricevetti la proposta dall’Hockey Club Lugano per diventare il fisioterapista del team, e decisi di accettare, infatti adesso mi ritrovo qui in Svizzera, e qui questo è uno sport molto importante. Il Campionato Svizzero è il terzo campionato al mondo, sia per giro di soldi che per visibilità. Il primo Campionato al mondo è quello americano, il National Hockey League, poi c’è la Kontinental Hockey League che è il campionato russo, mentre il terzo campionato per importanza è quello svizzero. Quindi mi sono confrontato con un nuovo sport, con delle nuove responsabilità: insomma in un nuovo contesto che non conoscevo.

Come si trova all’Hockey Club Lugano?
Mi trovo molto bene.

E’ uno sport dove bisogna fare i conti non solo con i contatti fisici?
E’ uno sport molto duro, anche perché è uno sport dove i contatti fisici sono permessi e, oltre i contatti fisici, bisogna fare i conti con le balaustre di protezione, anche quelle fanno male, poi il disco viaggia a circa 130-150 km/h, e anche quello fa male perché è rigido, senza poi tenere conto dei bastoni.

Quali le principali differenze che ha riscontrato tra gli infortuni nel calcio e quelli invece nell’hockey?
Mentre nel calcio l’80% degli infortuni coinvolgono le caviglie e i muscoli degli arti inferiori, quindi: adduttori, flessori della coscia, polpaccio e così via; nell’Hockey, gli infortuni sono dappertutto: testa, collo, spalle, caviglie. Nel calcio la maggioranza degli infortuni sono infortuni di “overuse” mentre nell’hockey sono quasi sempre infortuni di tipo traumatico.

Quindi una casistica completamente diversa?
Esatto. La casistica che vedo è completamente differente, e questo sta ampliando molto le mie capacità e quella che è la mia professionalità.

Anche l’atleta è differente rispetto al calciatore?
L’atleta in se è un atleta differente. Mentre un giocatore di calcio è un atleta che fondamentalmente si definisce aerobico per la gran parte, o misto, nell’hockey è un atleta anaerobico, cioè sono atleti che fanno sforzi molto intensi ma di corta durata, a differenza del calcio che fanno sforzi meno intensi ma di più lunga durata.

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Quanto sta in campo in media un giocatore di hockey?
In media un giocatore sta in campo 30-40 secondi, durante i quali da il 100%, poi esce, riposa due minuti, e nel frattempo giocano altri, dopo rientra e il ciclo continua, quindi c’è un cambio continuo. E’ uno sport completamente diverso dal calcio, sia per le abilità fisiche richieste ai giocatori che per i traumi e gli infortuni a cui vanno incontro.

Anche nel campionato svizzero assistiamo a delle “scazzottate”?
Esatto. Diciamo che questa è una cosa abbastanza frequente e che fa parte dello sport in se.

Gli arbitri intervengono?
Gli arbitri lasciano procedere la rissa fin quando non finisce, poi danno la sospensione, però la cavalleria vuole che quando un giocatore è a terra non si possa andare più avanti. Se uno cade per terra, stop.

Ha detto che vi è una sospensione?
Sì. Il giocatore che fa la rissa non può giocare per due, cinque o dieci minuti.

Ha trovato differenze tra la figura del fisioterapista in Italia, rispetto a quella della Svizzera?
Sì, questo è anche uno dei motivi per cui mi sono trasferito qui.

Cioè?
Il fisioterapista in Svizzera ha un ruolo leggermente più importante sotto l’aspetto legale, oltre al fatto che l’organizzazione del settore medico è differente rispetto a come è organizzato in Italia. L’organizzazione dell’area medica dell’Hockey Club Lugano rispecchia molto di più quello che avviene nelle squadre di hockey americane, dove il medico non è presente agli allenamenti ma è presente solo il fisioterapista, e tocca quindi al fisioterapista, nel caso in cui uno si faccia male durante l’allenamento, capire e decidere se mandarlo dal medico o no, mentre in Italia il medico è sempre presente, e quindi il fisioterapista non ha questa responsabilità.

Le comunicazioni tra lei e la squadra come avvengono?
Ho richiesto che siano fatte a me le comunicazioni che riguardano tutte le questioni mediche, quindi diciamo che c’è un canale unico di comunicazione, e nella fatti specie sono io. Questo in una società sportiva italiana, o almeno nella gran parte di queste, non accade, perché è il medico che parla con l’allenatore, con i giocatori, con il direttore sportivo, e così via. Diciamo che questa è una situazione in cui io ho avuto il privilegio di avere più responsabilità rispetto al lavorare in Italia.

La formazione dei fisioterapisti in Svizzera è la stessa che vi è in Italia?
Diciamo che la formazione è abbastanza simile a quella Svizzera.

Ha usato la parola diciamo. Fa dedurre che ci sono delle differenze?
In Italia il ruolo del fisioterapista ha le ali un po’ chiuse, ed è colpa un po’ di tutti. Questo è per dire che in Italia non esiste ancora l’albo dei fisioterapisti, cosa che invece c’è in tutti gli altri stati. I continui cambi di governo e le lungaggini ministeriali contribuiscono a questa situazione. Non avere un albo va a discapito dei pazienti, infatti si suppone che in Italia vi siano più abusivi che fisioterapisti e finché non si realizza un albo non si potranno scoprire.

Come si relaziona con la squadra, in maniera amichevole o più seria?
E’ molto difficile avere un rapporto freddo, perché bisogna tener presente che io sono a contatto con i giocatori anche fino a 15-16 ore al giorno. I giorni delle partite stiamo insieme dalle nove del mattino fino a mezzanotte, e gli altri giorni dalle 6 alle 7 ore, e quindi è normale che si crei un rapporto di amicizia. Però devo dire che al contempo cerco di non diventare troppo accondiscendente.

Per quale motivo?
Perché si andrebbe a perdere la psicologia dell’atto terapeutico stesso. Il mio ruolo è un ruolo di responsabilità all’interno dell’area medica, all’interno della squadra, e diventerebbe difficile gestire il tutto se si diventa troppo amici, anche perché devi essere in grado di dire no se bisogna dire no, oppure di imporre una propria decisione. Quello che funziona bene, da quel che mi sento dire, è che la fiducia dei giocatori è rivolta verso di me. Se il giocatore si fida del tuo lavoro a livello professionale, la gestione del lavoro diviene molto più facile.

Come riesce a gestire lo stress?
La gestione del mio stress è sottovalutata, e in effetti questa è una bella domanda. Durante le partite può succedere di tutto: da una frattura di femore a una commozione cerebrale, ma anche una lussazione di spalla o altro, infatti occorre essere preparato a ogni evenienza, come si dice “preparati a tutto, aspettati il meglio”. Le procedure di primo soccorso dovrebbero essere per un fisioterapista, o comunque per un operatore sanitario, abbastanza automatiche, devono cioè diventare dei procedimenti automatici, perché in questa maniera la parte emotiva non prende il sopravvento. Ci si allena ogni tanto a simulare delle situazioni che possono accadere, in modo da prendere più confidenza, e così la parte emotiva e lo stress diventano meno prevalenti, anche se poi ci sono delle situazioni in cui il giocatore se la vede brutta e non è facile. Comunque sia siamo una squadra, e se succede qualcosa c’è una struttura che si prende carico dei problemi.

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Come è stata la sua esperienza al Milan?
E’ stata la mia prima esperienza con un club professionistico sportivo, è stato un grande salto. I primi mesi sono stati intensi, però è stata una bellissima esperienza. Sento ancora dei giocatori e dei miei ex colleghi dell’area medica. Milanello è un posto fantastico, e mi manca ovviamente. La pista da ghiaccio è un luogo buio e freddo, a Milanello sei perso nel verde. Però non ho lasciato il Milan con astio, per me è stata più che altro una decisione professionale: vedere come potevo reagire in un altro contesto, in un altra nazione, in uno sport completamente diverso, con degli atleti diversi, con una cultura diversa. Quindi rispondendo alla sua domanda, al Milan è stata una bellissima esperienza, però sono contento di portare avanti questa nuova esperienza.

In Italia il risultato di una partita di calcio da l’input, se è negativo, di scagliarsi contro arbitro, allenatore, staff tecnico, fisioterapisti compresi se qualcuno si è fatto male. Stessa cosa accade anche nell’hockey?
Il risultato è comunque fondamentale, però, i tifosi, specialmente quelli del Lugano, sono molto vicini alla squadra, infatti generalmente anche quando il risultato va male ma la squadra ha giocato bene applaudiscono lo stesso. Il risultato rimane la cosa principale, ma il gioco è fondamentale, anche perché per poter vincere un campionato e arrivare ai play-off significa che devi dimostrare un livello di gioco molto alto. Per capirci: nella stagione regolare ci sono 50 partite, quindi anche se la squadra dovesse perderne qualcuna, ciò non è compromettente, considerando che al play off vanno le prime 8, ma diventa fondamentale se il gioco è carente, perché alla lunga un gioco carente non paga.

Nell’hockey in genere chi vince il campionato ha la miglior difesa o il miglior attacco?
Mentre nel campionato italiano di calcio, alla fine vince chi ha la miglior difesa, nell’hockey vince chi ha il miglior attacco.

Lei con gli atleti, parlando di terapia, preferisce lavorare manualmente o usare le macchine?
Io prediligo la terapia manuale. Uso poco le terapie fisiche, quindi i macchinari li uso principalmente come fattore coadiuvante, ma sono un forte sostenitore dell’esercizio terapeutico, soprattutto per gli sportivi. Secondo me la gran parte degli infortuni che si vedono nel mondo dello sport possono essere prevenuti e curati con esercizi terapeutici, che permettono ai tessuti, ai muscoli, ai tendini e ai legamenti di diventare più forti o di tollerare meglio il carico di lavoro.

Cosa può dire sulla squadra dell’Hockey Club Lugano?
Noi siamo una squadra competitiva. Ad oggi siamo ottavi in classifica, quindi siamo giusti per i play-off, qua si dice sopra la linea. La nostra squadra però è una squadra che è stata pensata per essere competitiva. Abbiamo avuto un po di infortuni sfortunati, abbiamo avuto degli episodi che hanno tenuto dei giocatori fuori a lungo, infortuni quasi tutti di origine traumatica, per cui purtroppo non ci si può fare tanto, anche per questo ci troviamo in ottava posizione. La squadra in se è composta da 27 giocatori di diversa nazionalità, quindi c’è un ragazzo italiano, tre svedesi, due canadesi, l’allenatore principale è canadese, il secondo allenatore è finlandese: è una squadra multiculturale.

Nell’hockey svizzero la regola è quella di far giocare un certo numero di stranieri durante una partita? 
Esatto. Nell’hockey svizzero una squadra può far giocare massimo quattro stranieri, questa è la regola. Per cui, a rotazione, ogni partita uno non gioca.

L’anno scorso al campionato siete arrivati secondi?
Sì, l’anno scorso siamo arrivati secondi. Siamo stati battuti in finale dal Berna. Speriamo quest’anno di ribaltare la situazione e arrivare primi.

Quando iniziano i play-off la musica cambia?
I play-off sono tutta un altra storia, quando iniziano i play-off cambia un po’ tutto, sia la mentalità dei giocatori, sia l’intensità di gioco, infatti anche il tipo di gioco diventa più difensivo, più violento e più fisico. Cambiando tutto ci si può quindi aspettare di tutto.

Qual è il sacrificio più grande da affrontare?
La mia famiglia riesco fortunatamente a vederla perché i miei genitori abitano in provincia di Como, e la distanza è minima, quindi, la cosa più difficile da affrontare per me è la carenza di sonno. Noi siamo a Lugano e ci sono 25 partite in trasferta all’anno solo durante la regular season del campionato, e quando si torna da una trasferta con orari particolari questi scombussolano tutta la giornata, e anche la successiva. Questo è un problema per me, ma penso ancora più grande per i giocatori che devono giocare tre partite in una settimana, e considerando gli spostamenti e la difficoltà nel dormire, sicuramente è sacrificante. Ci sono situazioni in cui si torna da una trasferta alle 4 di mattina e l’indomani si gioca comunque, e non è facile anche se si gioca in casa.

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Vuol dare un consiglio ai giovani lettori di Sledet.com che vorrebbero svolgere il suo lavoro?
Attualmente l’unica formazione che permette di fare questo lavoro è il Corso di laurea in Fisioterapia, quindi dico di andare all’università, studiare tanto, e cogliere ogni occasione che viene. Io ho iniziato facendo all’inizio il fisioterapista per il Buccinasco calcio, che giocava in seconda categoria, e lo facevo la sera dopo il lavoro, dopo ho seguito per un po’ la pallavolo maschile di Saronno, che giocava in serie C, poi siamo saliti in serie B: questo per dire che anche le categorie minori danno l’esperienza che piano piano porta a riuscire a lavorare per squadre professionistiche. Quindi ai lettori di Sledet.com dico che ogni occasione è buona per crearsi delle esperienze.

Sledet.com ringrazia per l’intervista Marco Cattaneo, e ad maiora!

 

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