Intervista a Carlito Avelli: attaccante della Nazionale Italiana Calcio Amputati


Agli Europei hanno conquistato la qualificazione diretta ai prossimi mondiali di calcio  

Intervista di Desirè Sara Serventi 

Determinazione e grinta: queste sono solo alcune delle caratteristiche di Carlito Avelli, attaccante della Nazionale Italiana Calcio Amputati, che quando sta in campo non teme né confronti né rivali. Un talento verso il calcio quello di Carlito, che è ben visibile tutte le volte che si trova a disputare una partita, e dove infatti, emerge non solo la predisposizione innata verso questo sport, ma anche la preparazione tecnico tattica che può vantare. La Nazionale Italiana Calcio Amputati sta facendo parlare tanto di se, per via dei successi raggiunti, infatti all’ultimo Europeo, hanno conquistato la qualificazione diretta ai prossimi mondiali di calcio del Messico. Ma Avelli non è solo un grande calciatore, è anche un qualificato dj che quando si trova davanti alla consolle, il divertimento è assicurato. I microfoni di Sledet.com hanno raggiunto Carlito Avelli che si è raccontato.

Quando nasce la sua passione per il mondo del calcio?
Ho sempre avuto la passione per il calcio sin da piccolissimo e ho sempre sperato di poter giocare seriamente. La mia è una famiglia di sportivi, nel senso di amanti del calcio, e soprattutto di grandi tifosi dell’Atalanta.

Come è arrivato a giocare nella Nazionale Amputati?
Galeotta fu una partita amichevole della Nazionale Cantanti, dove il mio amico fraterno, il cantante Silvio Barbieri, disputò contro la Nazionale Amputati. Quando Silvio li vide giocare disse: questi praticamente sono tanti Carlo! Quindi parlò di me al presidente, e così ci incontrammo. Che dire, feci un provino, e fui preso. Da allora, sono passati più di tre anni.

Qual è la principale difficoltà che ha incontrato nella squadra?
La prima difficoltà diciamo, che è stata un po’ quella di capire come giocare contro di loro o con loro.

Cosa intende dire?
Io ho sempre giocato con persone con due gambe, il che sembra più difficile, ma non lo è. Giocando contro di loro o con loro, ho dovuto capire i segreti e i trucchetti per cercare di fregarli, ma giocando con e contro i miei pari grado, ho dovuto riazerare tutto.

Quindi?
I primi giorni mentre giocavamo, avevo addirittura paura di far loro del male. Poi ovviamente, ho iniziato ad ingranare e sono persone grandi. Quindi la prima difficoltà è stata un po’ capire il tutto.

E’ per regolamento che gli atleti in campo non hanno una protesi?
Sì è un regolamento, però è anche una scelta, perché con la protesi si fa più fatica, è un impaccio quando si gioca, diciamo che si è più liberi così.

Come cambia il regolamento rispetto al calcio tradizionale?
Cambia pochissimo. Il regolamento stabilisce che quelli che giocano in campo non devono avere una gamba, mentre quelli che giocano in porta non devono avere un braccio. I portieri poi non possono uscire dall’area, altrimenti vengono espulsi, perché avendo due gambe per loro sarebbe troppo facile. La velocità per noi è la difficoltà principale. La palla poi, secondo regolamento, non si può toccare con le stampelle perché è fallo in quanto è come se fosse un prolungamento della mano e quindi chi lo fa, viene fischiato. Poi se il calciatore ferma la palla con il pezzo della gamba mancante, anche lì viene fischiato fallo. Per il resto le regole sono uguali al calcio tradizionale.

Chi ha creato la squadra di calcio nazionale amputati?
La Nazionale è stata creata da Francesco Messori che come tutti noi, ha sempre voluto giocare a calcio e in particolare voleva farlo con persone con la sua stessa disabilità, così ha lanciato un appello sui social a cui hanno risposto molti ragazzi.

Da chi è composto lo staff tecnico?
Lo staff tecnico è composto dall’allenatore Renzo Vergnani, dall’allenatore in seconda Paolo Zarzanza, e l’allenatore dei portieri Emiliano Gronchi, e poi un fisioterapista che ci segue sempre in base al luogo in cui ci troviamo.

Il calcio amputati è riconosciuto da FIFA e UEFA, a livello internazionale?
Sì.

Qual è stata la partita più complicata?
Sicuramente quella con la Turchia, perché tra l’altro sono i campioni degli ultimi Europei. Loro sono tutti professionisti e hanno campionati di serie A e serie B oltre la Nazionale, e infatti loro percepiscono uno stipendio per giocare, ovvero fanno questo di mestiere.

Sta forse dicendo che voi non siete pagati?
Esatto. Noi purtroppo abbiamo solo un rimborso spese, non veniamo pagati, quindi non percepiamo alcuno stipendio.

Stesso discorso per le trasferte?
Noi mettiamo di tasca nostra e poi ci viene rimborsato tutto.

Da chi?
Dalla Fispes che è la Federazione di cui facciamo parte e a cui va un grosso ringraziamento.

Per quale motivo non percepite uno stipendio?
Bella domanda! Purtroppo in Italia questo sport non è molto diffuso e soprattutto è quasi sconosciuto. Si stanno cercando di fare delle squadre di club per poter fare un campionato ma non è facile. Per questo motivo, vorrei creare una squadra dell’Atalanta disabili, non sarà facile, ma non per questo smetterò di provarci.

Cosa può dire sugli allenamenti?
Io faccio due allenamenti a settimana con la squadra, più un terzo allenamento in palestra, presso la Perform Sport Medical Center, che è perfetta per noi atleti, per me, perché è una palestra di professionisti, dove lavorano psicologi, mental coach, fisioterapisti, per citarne alcuni. Loro cuciono il lavoro sulla persona, e non hanno le solite schede che danno in palestra, personalizzano il lavoro sulla persona. Quando siamo a casa invece ci alleniamo con le squadre del nostro paese.

Cosa può dire su mister Renzo Vergnani?
È un mister con cui si può ridere e scherzare ma quando c’è da fare sul serio bisogna stare sempre concentrati.

Le vostre simulazioni sono come quelle dei vostri “cugini” del calcio tradizionale?
Diciamo che siamo abbastanza simili. Simulazioni per fortuna non ci sono, però nello stesso tempo, quando c’è fallo è fallo. Ci sono quelli che quando un atleta cade e sta per rialzarsi, gli mettono il piede sulla stampella, e questa ovviamente si rompe.

In campo siete in sette. Vuol descrivere i ruoli?
Oltre al portiere giochiamo con tre difensori, tre centrocampisti e un attaccante.

Lei nello specifico è l’attaccante della Nazionale Amputati?
Sì, il mio ruolo principale è quello dell’attaccante ma all’occorrenza gioco anche sulla fascia.

A suo avviso a miglior partita corrisponde miglior prestazione?
Non sempre.

Potrebbe essere più preciso?
Quando si gioca con squadre più forti, che portano a non giocare o a giocare male, allora si può fare molta fatica, ma se si tiene bene la posizione e ognuno tiene il proprio uomo, si può anche portare a casa un buon risultato.

Vi siete qualificati per i prossimi mondiali di calcio del Messico. Vuol parlarne?
All’ultimo Europeo giocato a Istanbul lo scorso ottobre siamo arrivati quinti e abbiamo conquistato la qualificazione diretta al mondiale.

Qual è la squadra che a suo avviso vi darà più filo da torcere ?
Più di tutti sicuramente la Turchia, la Russia e la Polonia.

Non è stata per voi un’impresa facile. E’ corretto?
È molto più difficile per noi disabili, perché abbiamo meno opportunità e nel pensiero generale c’è il: come fai? non riesci a farlo, e se ti fai male? Invece stiamo dimostrando che noi andiamo oltre, e possiamo farlo!

Qual è il sacrificio più grande del suo lavoro?
Diciamo che è stare lontani da casa e soprattutto dagli affetti: la ragazza i parenti, per il resto è un piacere stare sul campo e lavorare.

Qual è il vostro moto in campo?
Non mollare mai in qualsiasi caso, per noi e per Stefano che è un nostro compagno di squadra che sta passando un momento particolare.

Oltre ad essere l’attaccante della nazionale amputati, lei è anche un dj. Ci parla di questa suo lavoro?
La musica è l’altra mia grande passione. Sono sempre andato nella discoteca del mio paese e anche in molte altre, e mi sono appassionato a questo lavoro, tanto da farlo diventare mio.

Che cosa cerca di trasmettere in veste di dj?
Principalmente allegria e divertimento, e la musica cha faccio si presta a questo.

Qual è il genere che propone?
Il genere di musica che faccio si chiama Afrobrasil, ma comprende moltissimi generi: axé, forrò, sambateggae, afrosamba.

Chi è Carlito quando non sta in campo?
Quando non sta sul campo Carlito, pensa sempre al calcio. Guardo tutte le partite di serie A, B e D, il campionato argentino e il calcio al femminile. Poi sono un ragazzo come tutti gli altri, mi piace la musica, il Sud America e in particolare l’Argentina, perché c’erano i giocatori argentini dell’Atalanta.

Che consiglio vuol dare ai giovani che vorrebbero intraprendere la sua professione?
Di restare sempre coi piedi per terra, e anche se si arriva a giocare in serie A non significa essere arrivati. L’arrivo è la fine della carriera, e da lì si tirano le somme.

Progetti?
I mondiali, quindi lavorare tanto per fare il meglio possibile. Abbiamo fatto un ottimo risultato agli Europei e vogliamo migliorarci.

Vuole aggiungere altro?
Seguiteci e aiutateci a far crescere il nostro sport e la nostra squadra, e non lamentatevi se la Nazionale di Calcio Italiana non si è qualificata ai mondiali, una squadra italiana al mondiale da tifare se volete c’è.

Sledet.com ringrazia per l’intervista Carlito Avelli, e ad maiora!

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