Ergastolo ostativo: intervista all’ex uomo ombra Carmelo Musumeci 6


“Dico spesso che sono nato colpevole, ma poi ci ho messo del mio per diventarlo. E ci sono riuscito”

Intervista di Desirè Sara Serventi

Venne arrestato nel 1991 e deportato all’isola dell’Asinara, lì sottoposto a regime del carcere duro del 41 bis per reati di mafia, droga, estorsioni e omicidio e per questo motivo condannato in via definitiva all’ergastolo ostativo. Stiamo parlando di Carmelo Musumeci, meglio noto all’epoca col nome del “boss della Versilia”. Carmelo ha trascorso in carcere più di un quarto di secolo, portando avanti una lotta sociale per far conoscere l’esistenza di questo tipo di ergastolo. Negli anni però qualcosa è cambiato, e ciò che per lui poteva diventare un qualcosa di impossibile è diventata una realtà. Dopo venticinque anni infatti, in seguito alla sentenza della Corte Europea e della Corte Costituzionale, il suo ergastolo è stato tramutato prima in ergastolo ordinario, poi in semi libertà, e attualmente in libertà condizionale. Musumeci è un uomo cambiato, che ha utilizzato al meglio il periodo in carcere. Entrato con la quinta elementare, ne è uscito conseguendo tre lauree, e diventando inoltre autore di tantissimi libri, l’ultimo dei quali “Diventato colpevole”, sta riscuotendo un grandissimo successo. I microfoni di Sledet.com hanno raggiunto Carmelo Musumeci, che si è raccontato.

Ci vuol parlare della sua infanzia?
Sono nato in un piccolo paesino ai piedi dell’Etna, in provincia di Catania, e diciamo che ho avuto un’infanzia abbastanza difficile. Sono cresciuto in un ambiente criminogeno, ho conosciuto il collegio al nord, poi il carcere minorile e in seguito quello per gli adulti. I ragazzi che ho incontrato in collegio sono gli stessi che poi ho ritrovato in carcere. Dico spesso che sono nato colpevole, ma poi ci ho messo del mio per diventarlo. E ci sono riuscito.

Potrebbe essere più preciso?
I bambini nascono buoni e hanno un senso di giustizia molto più spiccato degli adulti, ma poi alcune situazioni possono far cambiare. Mi ricordo che in collegio quando vedevo gli altri bambini che ricevevano la visita dei genitori, che portavano loro i biscotti o le marmellate fatte in casa, la consideravo una ingiustizia, perché per me non veniva nessuno. Fu allora che iniziai a tirare fuori la mia aggressività incolpando questi ragazzini per quello che ricevevano, quando invece la loro unica colpa, era quella di avere dei genitori che gli volevano bene. Con gli altri bambini che si trovavano nella mia stessa situazione, facevamo gruppo contro di loro. Quando invece mi trovavo in casa, e rientravo raccontando che mi avevano picchiato, anche loro mi picchiavano, perché dicevano che avevo fatto far loro brutta figura con i vicini. Comunque questa non vuole essere una giustificazione per le azioni che ho compiute, perché è chiaro che tanti altri ragazzi hanno avuto un’infanzia difficile, senza però fare le mie stesse scelte criminali.

In Italia lei è stato il primo caso di condanna all’ergastolo ostativo. Vuol parlarne?
Nel 1991 a causa di una guerra fra bande rivali, per il predominio del territorio su delle attività illecite, venni arrestato, e dopo un anno, venni deportato all’isola dell’Asinara e sottoposto a regime del carcere duro del 41 bis per reati di mafia, droga, estorsioni e omicidio. Fu in quel periodo che mi venne data in via definitiva la condanna all’ergastolo ostativo.

A cosa venne sottoposto con questa condanna?
Per un anno e sei mesi fui sottoposto a un isolamento totale, che è una pena accessoria dell’ergastolo, il cosiddetto isolamento diurno, dove mi misero in una cella e chiusero il cancello blindato, senza poter mai parlare o incontrare nessuno dei miei compagni.

Poi cosa accadde?
Durante quel periodo mi venne il desiderio di far conoscere alla società, all’opinione pubblica, che cosa accadeva nella nostra “patria galera”. Ovviamente, non avevo gli strumenti per comunicare con l’esterno, anche perché sono entrato in carcere con la quinta elementare, quindi non sapevo come poter far sentire la mia voce, fino a quando un amico di penna, un insegnante in pensione, mi fece la proposta di iniziare a studiare.

Lei cosa rispose?
Gli risposi che non era una cosa per me fattibile, in quanto il regime duro del 41 bis non permetteva di ricevere libri in carcere.

Quindi?
Lui mi disse: se vuoi studiare, non trovare scuse. Ti strappo le pagine dei libri e le spedisco per lettera. Così avvenne, e iniziai a studiare, anche se va precisato che per il regime in cui mi trovavo, alcune di queste lettere venivano bloccate. Poi in seguito mi tolsero il regime del 41 bis e fui inserito in altre sezioni, in quel periodo si chiamavano elevato indice di vigilanza, poi venni messo in alta sicurezza, dove non potevo incontrare nessuno, però potevo avere i libri. Per farla breve sono riuscito a diplomarmi e a laurearmi prima in Giurisprudenza e poi in Filosofia.

Si può dire che nonostante la sua condanna all’ergastolo ostativo, ha cercato di ottimizzare al meglio il suo tempo?
Se fuori dal carcere il tempo non basta mai, dentro è l’unica cosa che abbiamo e io ho cercato, anche per non impazzire, di studiare e scrivere. Ho cercato sempre di tentare di comunicare con l’esterno, con la società che mi aveva condannato a essere cattivo e colpevole per sempre, anche perché a me mancava proprio il contatto con il mondo esterno.

Lei si definisce l’uomo ombra, per quale motivo?
Gli uomini ombra sono gli ergastolani ostativi. Il mio primo libro si intitola “Gli uomini ombra”, perché molti non sanno che questa battaglia dell’abolizione dell’ergastolo ostativo, della sentenza prima della Corte Europea, e adesso della Corte Costituzionale, più che una battaglia giuridica, almeno all’inizio, è stata una lotta sociale.

Ovvero?
Io mi resi conto solo nel 2003 dell’esistenza di questo tipo di ergastolo, perché erano maturati i tempi temporanei per chiedere il mio primo permesso, e fu lì che scoprì l’esistenza dell’ergastolo ostativo e che la mia condanna era proprio questa.

Potrebbe essere più preciso?
In Italia esistono due tipi di ergastolo, uno che è ordinario che è quello che possiamo dire può dare una speranza, una possibilità, e poi esiste quello ostativo, ovvero, quello che non da alcuna possibilità di uscire, anzi, si ha la certezza che uscirà dal carcere solo il cadavere del condannato, se questo non collabora con la giustizia. Quando appresi tutto questo, cominciai a intraprendere delle battaglie.

In che modo?
Mi ricordo che nel 2007 mi venne l’idea, per sensibilizzare l’opinione pubblica, di fare uno sciopero collettivo fra ergastolani, firmammo perciò una adesione, chiedendo al Presidente della Repubblica di tramutare il nostro ergastolo in pena di morte. Portammo avanti uno sciopero della fame a oltranza e questa provocazione iniziò a darmi un po’ di spazio, incominciarono ad interessarsi alcuni intellettuali, alcuni personaggi, da lì poi, mi venne l’idea di aprire un sito tramite alcuni volontari della comunità papa Giovanni XXIII fondata da don Oreste, per raccogliere adesioni. I primi firmatari furono Agnese Moro, la figlia di Aldo Moro, Margherita Hack e tanti altri.

Quale era il suo intento?
Era quello di far conoscere l’esistenza di questa pena di morte viva, così come io la definisco.

Pur sapendo che la sua era una condanna definitiva ha deciso di studiare e ha scritto tanti libri. Da cosa fu dettata questa scelta?
È stato un percorso. All’inizio ho studiato per cercare di avere le armi per comunicare con l’esterno, poi per l’amore dei miei figli, cercare quindi di lasciarli un bel ricordo, e per la mia compagna che mi ha aspettato sapendo che non sarei mai più uscito. Ricordo che mia figlia mi dava una mano nello studio, e a volte volutamente facevo degli errori per farmi correggere da lei, perché è bellissimo farsi correggere dai propri figli. Però devo dire che tutto questo non mi bastava, perché mi mancava proprio l’affetto sociale, che è quello che secondo me in carcere manca più di tutto.

È stato quindi lo studio a cambiarla come persona?
Quello che mi ha cambiato più di tutti, non è stato lo studio o l’affetto dei miei figli o della mia compagna, perché lo davo per scontato il loro bene. La cosa più importante è stato l’incontro con il bene, con persone che mi venivano a trovare in carcere, come Agnese Moro, Margherita Hack, la comunità papa Giovanni XXIII e tanti altri. Il bene è contagioso, ti scombussola quando lo conosci, capisci che ci sono brave persone che senza alcun interesse ti vengono a trovare e ti vogliono bene, e allora incominci a sentirti colpevole del male che hai fatto fuori, e delle tue scelte devianti criminali. Il carcere duro, il periodo di isolamento, la pena dell’ergastolo, sotto alcuni aspetti mi giustificava, nel senso che pensavo: vabbè io ho fatto del male, ma non è che poi la società è meglio di me che non hanno neppure l’umanità di ammazzarti ma ti murano vivo. Accadono questi meccanismi mentali, perché purtroppo chi fa del male lo giustifica, altrimenti non lo farebbe. Nei miei libri io parlo molto di questi meccanismi.

Lei ha scelto di non collaborare con la giustizia. Per quale motivo?
Ognuno di noi trova una motivazione. Io non me la sono sentita, anche perché ho lasciato mia figlia che aveva nove anni e mio figlio che ne aveva sette, e ovviamente anche la mia compagna. Se io avessi collaborato, i miei figli sarebbero stati sradicati dal loro territorio, dalla scuola, avrebbero dovuto cambiare nome, cognome, volevo tutelarli. Uno dovrebbe uscire dal carcere perché lo merita e non perché decide di collaborare. Poi le motivazioni sono diverse, io ero molto arrabbiato e dicevo: che cosa se ne fa lo Stato della mia collaborazione se la mia organizzazione non esiste più e non c’è nessun pericolo.

Il suo ergastolo è stato tramutato?
Il mio ergastolo ostativo dopo venticinque anni è stato tramutato prima in ergastolo ordinario, il che mi ha dato la possibilità di uscire prima in permesso, poi in semi libertà e adesso da un anno sono in libertà condizionale. Però il mio è stato un caso, l’eccezione che conferma la regola.

Cosa le ha insegnato il carcere?
Il carcere mi ha insegnato soprattutto la sofferenza. Spesso mi sono chiesto cosa se ne faceva la società di una persona chiusa in carcere con una condanna così dura, quando invece avrei potuto rimediare, ovviamente solo parzialmente, a tutto il male che avevo fatto in passato, facendo del bene.

Ma lei andava fermato, e il carcere era l’unico modo. È corretto?
Certo, infatti il carcere è importante, perché io andavo fermato, ma una volta che le persone le fermi, devi cercare di “rieducarle”, anzi preferisco dire migliorarle. Il carcere invece ti disabitua a vivere. Per intenderci, quando il mio ergastolo è passato in ordinario, il primo mese premio mia figlia mi portò in un grande magazzino per farmi acquistare dei pantaloni. Ricordo che andai nel camerino per misurarli, spostai la tendina e vidi un signore anziano, richiusi la tenda e le dissi che il camerino era occupato. Non vedendo uscire nessuno mia figlia si avvicinò allo stanzino, aprì la tenda e si rese conto che era vuoto. Per farla breve l’uomo che avevo visto era semplicemente la mia immagine allo specchio. In carcere per venticinque anni non mi ero potuto specchiare, o meglio dire non avevo più visto per intero la mia immagine, anche perché avevamo un piccolo specchietto, dove potevamo vedere solo il nostro viso. Per questo motivo non mi ero riconosciuto ed è per questo che dico che una volta fuori devi imparare nuovamente a vivere.

Cos’è per lei la libertà?
La libertà è entrare in un bar e ordinare un caffè, sentire il rumore della tazzina, o prendere un bicchiere di vetro in mano. Le prime volte non riuscivo più a tenere un bicchiere in mano perché ero abituato con quelli in plastica, non ero più abituato a quel peso. Una cosa bellissima è quella di poter telefonare ai propri figli, in carcere potevo fare una solo telefonata alla settimana. La libertà è fatta di piccole cose, ed è difficile anche da spiegare.

Che ricordo ha del suo primo permesso?
La prima volta che sono uscito in permesso mi colpivano i colori, gli odori il verde, perché il carcere è un luogo di cemento dove non c’è un filo d’erba. Mi ricordo che in uno dei primi permessi sono andato in spiaggia e mi sono tolto le scarpe e ho incominciato a camminare nella sabbia e sentivo una specie di solletico e i miei nipotini mi guardavano stupiti.

Recentemente è uscito il suo libro, dal titolo “Diventato colpevole”. Che cosa descrive?
Se in “Nato colpevole” descrivo un po’ tutti i passaggi della mia infanzia fino ai diciotto anni, in “Diventato colpevole”, descrivo come la mia sia diventata una vera e propria scelta deviante e criminale. I libri che ho scritto non vogliono giustificare le azioni che ho compito, ma vogliono far capire come tutti possono cambiare e possono essere recuperati. In “Diventato colpevole”, descrivo quindi il passaggio, la scelta. Aver voluto dare ai miei figli quello che non ho avuto io, mi ha portato a fare delle scelte sbagliate, quando invece quello che loro volevano era solo avere un padre vicino, mentre io volevo dar loro solo soldi. Facendo così ho perso più di un quarto di secolo e non sono potuto stare accanto a loro nei momenti più belli della loro vita, e così mi sono accorto di avere sbagliato tutto nella vita, ma purtroppo è accaduto e devo accettarlo.

Lei parla ai ragazzi nelle scuole raccontando la sua esperienza?
Sì mi chiamano sia nelle scuole che nelle università per dar loro la mia testimonianza. Raccontando la mia storia, gli faccio conoscere il male per dargli gli strumenti per conoscerlo ed evitarlo. Racconto prima la mia infanzia e poi il dolore che ho recato alla mia famiglia, alla società e gli consiglio di lottare per realizzare i propri obiettivi. Gli dico che i cattivi possono diventare buoni, e spiego che non bisogna giustificare mai certe scelte sbagliate, insegno quello che è importante conoscere.

Ha nominato spesso Agnese Moro, è stata un aiuto per lei?
Con Agnese Moro è nata un’amicizia. Vedere il dolore delle vittime sconvolge, anche se io non c’entravo nulla con la morte del padre, quindi non avevo a che fare con il suo dolore. Lei ripete spesso una frase, la disse anche a me quando la incontrai a Spoleto. Agnese cercava di consolarmi e mi disse: il dolore del colpevole non allevia la sofferenza delle vittime, la vittima vuole che diventi buono per capire il male che hai fatto.

Attualmente qual è il suo stato?
Ho la libertà condizionale. Ho fatto due anni di semi libertà uscendo la mattina e rientrando la sera, adesso nella condizionale non posso uscire dalla provincia di Perugia e a un certo orario devo trovarmi nella struttura dove faccio il volontario, e devo firmare tutte le settimane.

Sledet.com ringrazia per l’intervista Carmelo Musumeci, e ad maiora!


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6 commenti su “Ergastolo ostativo: intervista all’ex uomo ombra Carmelo Musumeci

  • Giuseppe

    Bellissimo leggere ciò che siamo stati e ciò che siamo diventati, e questo significa che il male non regnava il nostro animo,regnava ciò che siamo, il passato è solo un ricordo che ci tormenterà x il resto della nostra vita, bravo Mio caro Musumeci almeno tu riesci a trasmettere quello che la politica non sa Fare,un forte abbraccio.

  • maurizio

    Sembrerà strano detto da me che credo di essere una persona quasi normale e ligia alle leggi. Ma sono fiero e contento del cambiamento di Carmelo. Io sono anche fiero di dire che lo conosco dalle scuole elementari in collegio. Io sono testimone delle “botte” che si è preso insieme ad un altro ragazzo di nome Giuseppe. Tavolate nella testa e nella schiena. Io ero a vedere. La vita per i ragazzi degli anni “60 era come quella dei tanti Copperfield, alcuni riuscivano a sopportare altri si ribellavano alle sofferenze e ingiustizie. Carmelo si è ribellato alle ingiustizie. Peccato se amato poteva scrivere sicuramente un’altra storia.

    • Vincenzo alfarone

      Vorrei che parlasse con i giovani studenti per fargli capire l’errore del bullismo!
      Ha un modo di parlare intelligente e convincente!!

  • giuseppe sellitti

    Come si vuol commentare una persona cosi umile che riconosce gli errori e vuole solo avere la famiglia vicino un uomo che come dice lui a che gli serviva fare il <PENTITO < se poi avrebbe avuto la famiglia distrutta ,Per cui Musumeci è solo un uomo d'apprezzare x cio che è oggi e che è riuscito a fare per il bene dei suoi figli e la compagna che gli sono stati sempre vicini ,Io comprerò tutti i suoi libri primo perchè sono riuscito a reiserirmi <fortunato <di aver trovato una donna che non gli piaceva vivere nel lusso sapendo che alle 4 di notte si poteva trovare la legge fuori casa ci siamo rimboccati le maniche e lavoriamo da 40 anni onestamente <L'onore ed ilo principio <non me la tolto come credo anche a Musumeci Per cui lo ammiro e lo stimo e lo rispetto ,,A Napoli diciamo <e a femm'n k fa ll'om <ed è vero io lo trovata è m'afat om< onesto < Musumeci auguri x il tuo prosieguo e goditi la famiglia che hai che è meravigliosa