“Per me la poesia è la narrativa più intima possibile. Racconta qualcosa e deve suscitare emozioni. Non ha bisogno di metrica né di rima. Deve avere una melodia, essere musica a parole”
Intervista di Desirè Sara Serventi
Lo scrittore Giovanni Maurandi è una figura che affascina per la sua straordinaria abilità nella scrittura, un talento che lo rende capace di creare opere che affascinano e conquistano i lettori. Con ogni romanzo e poesia, Maurandi riesce a tessere storie così coinvolgenti da trasformare la lettura in un’esperienza indimenticabile. Non è solo la sua penna a renderlo unico: è anche un rinomato medico chirurgo, una combinazione di talento e competenza che lo distingue. Sledet.com ha raggiunto Maurandi che ha svelato i segreti del suo percorso autoriale.
Quando ha scoperto la sua passione per la scrittura?
Premetto che mi è sempre piaciuto scrivere, fin dai tempi della scuola. Al liceo scrivevo poesie e traducevo i lirici greci; ero molto affascinato dal processo creativo e dalla trasformazione delle idee in parole. Inizialmente mi limitavo a scrivere per me, senza troppe ambizioni, tuttavia ogni cosa che scrivevo mi avvicinava sempre di più alla scoperta del potere della scrittura.
Quando è nato il tutto?
Il tutto è iniziato quando mi hanno regalato un computer. Avevo quasi abbandonato la scrittura a causa del lavoro, ma con quel computer ho deciso di scrivere un racconto, “La partita”. Volevo raccontare una semplice partita di calcio tra ragazzini, come quelle che giocavo da bambino. Una volta terminato, mi sono chiesto: “Ma cosa succede, dopo, a questi bambini?” Così sono andato avanti ed è iniziato il mio romanzo.
Che cosa racconta?
Racconta di una amicizia che va oltre il tempo. Una storia fra Carloforte e Cagliari, senza effetti speciali e senza eroi.
Quando ha deciso di pubblicarlo?
La svolta è avvenuta tramite una mia amica brasiliana, Patricia, conosciuta in Italia durante un master universitario. Le raccontai di un testo che avevo iniziato a scrivere ma che era rimasto a metà. Lei, conoscendo abbastanza bene l’italiano, mi chiese di mandarle quello che avevo scritto. Le piacque e mi incoraggiò a continuare. È così che è nato il mio romanzo. La pubblicazione è avvenuta perché quella stessa amica mi informò di un concorso su “ilmiolibro.it” del gruppo Espresso. Lei si occupò di tutto e in due giorni il libro era pubblicato.
Ha continuato a scrivere racconti?
Sì, avevo già iniziato a scrivere un racconto che poi è finito nel mio secondo libro, assieme ad altri tre scritti successivamente: altro libro autopubblicato. Intanto avevo ripreso a scrivere poesie, che posto su Facebook.
Adesso non sta scrivendo racconti, è corretto?
Ora scrivo solo poesie perché non ho il tempo, purtroppo, per dedicarmi a un romanzo. Il mio lavoro di medico mi tiene molto occupato soprattutto in questi ultimi anni.
Quanto è stato complicato scrivere il suo primo romanzo?
“La partita” è risultato complesso a causa dei numerosi personaggi e delle molteplici linee temporali. Io poi preferisco scrivere senza interruzioni, procedendo dall’inizio alla fine e questo complica ulteriormente le cose. A causa del lavoro, mi manca davvero il tempo e la costanza necessari per affrontare progetti così intricati.
Da dove trae l’ispirazione per i suoi libri?
L’ispirazione parte da un’idea che mi sembra buona, qualunque essa sia. Poi ci costruisco sopra. Non prendo appunti: se l’idea è buona rimane nella mia “nuvola” di memoria. “La partita”, nasce dai ricordi della mia infanzia, ma poi quella che si sviluppa è tutta un’altra storia. Le idee possono venire da qualunque cosa, soprattutto per le poesie.
Come nascono le sue poesie?
Le poesie nascono spontaneamente. Un’idea, un ricordo, un’immagine… possono essere qualsiasi cosa. A volte bastano solo due parole per iniziare. Nel giro di qualche giorno si sviluppa e allora la scrivo. Dopo averla rivista un paio di volte, la pubblico su Facebook.
Cosa è per lei la poesia?
Per me la poesia è la narrativa più intima possibile. Racconta qualcosa e deve suscitare emozioni. Non ha bisogno di metrica né di rima. Deve avere una melodia, essere musica a parole.
Qual è il suo processo di scrittura?
Il mio processo di scrittura è molto ispirato dall’ambiente che mi circonda. Uno dei racconti del mio secondo libro, “Auatekuntu”, che in carlofortino, significa “adesso ti racconto”, è nato durante una passeggiata a Carloforte. Mentre camminavo ho iniziato a sviluppare il personaggio di “Gaspare Puddu”, un uomo che ironizza sul suo nome che ritiene terribile; ho scritto le prime pagine a penna su un piccolo quaderno, seduto su una spiaggia, lasciandomi ispirare dall’atmosfera del luogo. In un secondo momento ho continuato a sviluppare la trama, che tratta di un insegnante onesto ingiustamente accusato di pedofilia.
Poi ha scritto il racconto “Buono bambino”. Che cosa racconta?
Racconta la storia di un ragazzino con un deficit mentale. Come per tutte le mie storie posso dire che non sapevo come sarebbe finita quando l’ho iniziata; la mia esperienza è che le storie si evolvono da sole, prendono vita propria.
Ci vuole parlare del suo terzo racconto?
Il terzo racconto, “L’ospite”, è nato da una storia raccontatami da un’amica. Racconta di un ospite inatteso, che sembra uno scappato di casa ma si rivela una persona straordinaria. È anche uno scrittore, fra l’altro. Il suo racconto, “Il paese alla fine del mondo”, diventa il quarto del mio libro “Auatekuntu”, per sua gentile concessione.
In che modo scrive?
Nella prosa cerco di mantenere un filo di umorismo, (nella poesia sono più serio). “La partita”, a detta di chi l’ha letto, riesce a far ridere, piangere e commuovere. Le storie in qualche modo raccontano la nostra vita e la vita non ha mai un solo aspetto, un solo registro.
C’è anche “La casa dei gatti alle finestre”. Cosa ci può dire su questo romanzo?
Questo romanzo è stato una sorta di sfida personale. È ambientato negli anni 60 e si ispira alla mia infanzia, in particolare a quella che è stata la mia estate più bella: andare a metà settembre in campagna per la vendemmia. A quel tempo, la campagna dove si andava non aveva luce elettrica, né acqua corrente. Ho voluto raccontare questa storia e, anche se non accade nulla di straordinario, quel che, secondo me, la rende interessante è il suo viaggio narrativo tra i vari personaggi; un’opportunità per esplorare il loro passato, il modo in cui si incontrano e come tutto ciò è visto dai bambini che, alla fine, risultano più saggi degli adulti. È una storia molto semplice, ma per me è stata una vera sfida: volevo scrivere un romanzo in cui non succedesse praticamente nulla, ma che fosse interessante per il lettore e credo di non aver fatto un brutto lavoro.
Come sviluppa i suoi personaggi?
Quando scrivo, i personaggi prendono vita propria. Non ho quasi mai un piano preciso; spesso lascio che la storia si sviluppi naturalmente mentre scrivo. Ogni personaggio ha una sua voce e un modo unico di esprimersi che cerco di rendere autentico attraverso dialoghi il più realistici possibile. Questo rende ogni personaggio distinguibile agli occhi dei lettori.
Come fa quindi a sviluppare i suoi personaggi e a decidere che fine faranno?
È molto variabile. In “Buono bambino”, non sapevo come sarebbe finita la storia fino a metà della scrittura. Anche negli altri racconti e nei due romanzi, mentre scrivevo, la storia si sviluppava da sola. Cerco di dare ai personaggi una dimensione completa. Uso molti dialoghi e ogni personaggio ha il proprio modo di parlare. Questo li rende riconoscibili: anche se non specifico chi sta parlando, dal dialogo puoi capire di chi si tratta. Alcuni mi hanno accusato di scrivere più una sceneggiatura che un libro, perché spesso evito lunghe descrizioni e lascio che il lettore immagini la scena.
Come pianifica la trama dei suoi libri?
Non la pianifico. Parto da un’idea e la proseguo. La storia prende i suoi bivi, che decido io fino a un certo punto. Non ho mai saputo, iniziando un romanzo o un racconto, come sarebbe finito.
Quindi non usa alcuna scaletta?
Ho usato una scaletta solo in “La partita”, in un capitolo dove descrivevo un cenone di Capodanno, perché dovevo gestire venticinque personaggi e avevo bisogno di un elenco ben preciso. Ma anche in circostanze così complesse non so mai cosa accadrà in seguito. È un po’ disordinato, ma per me funziona così.
Ha mai dovuto cambiare radicalmente la trama o un personaggio della sua storia?
No, non mi è mai capitato di cambiare radicalmente una trama o un personaggio. Una volta, però, ho dovuto modificare un pezzo di capitolo che avevo scritto di getto. Inizialmente mi sembrava buono, ma quando l’ho rivisto a lavoro finito, non mi piaceva più. La scena è rimasta la stessa, ma ho cambiato il modo in cui era scritta. Quando si scrive di getto è facile lasciarsi andare senza controllare tutto.
Ci sono temi ricorrenti nei suoi libri?
Un tema che c’è sempre, anche se può sembrare banale, è l’amore. L’amore è presente in varie forme: amore deluso, ritrovato, combattuto, sbagliato. Questo tema è presente in tutti i miei lavori, come nel racconto “L’ospite”, che tratta anche una storia d’amore, ma anche in quelli più tragici come “Buono bambino”.
C’è un genere o un argomento che non ha ancora esplorato ma che le piacerebbe trattare in futuro?
Evito di scrivere di cose che non conosco. Quando ho scritto “La casa dei gatti alle finestre”, ambientato durante una vendemmia, ho visitato un amico che lavora in vigna per assicurarmi di descrivere tutto accuratamente. Non mi avventuro in temi di cui non ho una buona conoscenza. I miei personaggi svolgono lavori che conosco bene, così posso raccontare le loro storie con autenticità. Ma chi lo sa, magari un giorno mi avventurerò in nuovi territori narrativi.
Qual è il messaggio che vuol dare ai suoi lettori con i suoi lavori?
Io penso che la vita può essere una grande fregatura o una grande opportunità; in genere è le due cose insieme. Ma una caratteristica sua è che non ha alternative; per cui, il messaggio è: cerchiamo di farne una cosa preziosa.
Che cosa non ama raccontare?
Non tollero l’egoismo tra le persone, infatti nei miei romanzi i rapporti umani, l’amore e l’amicizia sono sempre al centro della narrazione. In “La partita” c’è una storia di amicizia molto forte, oppure in “Gaspare Puddu” c’è un forte messaggio contro i giudizi affrettati e superficiali.
Per quel che concerne le poesie?
Anche nelle poesie, sebbene spesso malinconiche, cerco sempre di infondere un senso di speranza e di continuità con il passato, perché il passato ci forma e ci accompagna sempre: noi siamo fatti di passato, in fondo.
Sta lavorando a qualche nuovo progetto?
Sto raccogliendo alcune mie poesie in un volume che vorrei intitolare “Il custode”. Ho un altro progetto per un romanzo, ma è ancora nebuloso. Ho molte idee e poco tempo, ma preferisco non parlarne troppo finché non si concretizzano.
Quale consiglio vuol dare a una persona che vorrebbe intraprendere la scrittura?
Per chi desidera intraprendere la scrittura, dico semplicemente, scrivete ciò che conoscete e che vi appassiona, aggiungendo sempre un pezzo autentico di voi stessi. La vera essenza della scrittura sta nel riflettere chi siamo veramente. È un percorso che richiede impegno, ma essere autentici è ciò che rende ogni parola significativa. Prendete foglio e penna o un computer e lasciate che le parole fluiscano liberamente. Inevitabilmente, emergerà qualcosa di prezioso.
È importante, quindi, essere autentici nella scrittura?
Sì, altrimenti non si riesce a spiegarsi. Non si riesce nemmeno a raccontare, è impossibile. Le storie vengono raccontate per iscritto, ma devono essere comprese. Chi legge deve entrare nella storia, perché una volta che si chiude il libro e lo si pubblica, non è più dell’autore, diventa del lettore, che può scoprire cose che l’autore, scrivendo, non aveva nemmeno considerato. Ognuno ha la sua lettura e può scoprire cose diverse. Questa è la bellezza della condivisione attraverso le parole.
Chi è Giovanni quando non è impegnato nella scrittura?
Giovanni è una combinazione di serietà, a volte eccessiva, e autoironia. Sono un medico che affronta le sfide quotidiane come meglio può. Sono separato, ma voglio molto bene a Carla, mia moglie; continuiamo ad avere un bel rapporto. Vivo con il mio gatto, Gigi, un compagno paranoico quasi quanto me. Ndr: ride
Ha scritto: “A cinquant’anni si diventa adulti.” Che significato ha per lei?
Sì, è una frase che mi piace molto e che ho scritto nella mia pagina su “ilmiolibro.it”. La mia descrizione inizia così: “A cinquant’anni si diventa adulti. O distinti signori. Non so se è vero, ma dopo aver lavorato a lungo in sala operatoria, comincia a farmi male la schiena. Amo fare il medico e amo raccontare scrivendo. Ho alle spalle qualche maceria e cerco di non provocarne altre davanti a me.” Mi presento così, cercando di non prendermi troppo sul serio.
Vuole aggiungere altro?
Una cosa che mi ha fatto un immenso piacere è che alcuni miei racconti siano stati tradotti in portoghese, e siano stati oggetto di tesi pubblicate alla Facoltà di Lettere-Traduzione dell’università Federale del Rio Grande do Sul. In ipotesi c’è la traduzione completa di “Auatekuntu” e la sua pubblicazione. Chissà che succederà. Scherzando, ho detto a Patricia che, probabilmente, diventerò più famoso in Brasile che in Italia.
Sledet.com ringrazia per l’intervista Giovanni Maurandi, e ad maiora!