“Noi piloti siamo sempre raffigurati come una categoria di privilegiati, col mio libro ho voluto mostrare che invece c’è molto altro”
Intervista di Desirè Sara Serventi
Una passione per l’aviazione che l’ha spinto, dopo il licenziamento improvviso dall’Alitalia, a trasferirsi in Medio Oriente alla ricerca di una compagnia aerea dove poter prestare la sua attività. Ivan Anzellotti è un pilota di linea che ha messo a dura prova le sue capacità di adattamento, ma questo per lui non è mai stato un freno, anzi è stata una spinta per andare avanti e lavorare con impegno e dedizione. Il pilota Anzellotti oltre ad essere un qualificato pilota è anche autore dei libri “Storia di un pilota, dal funerale di Alitalia alla fuga dal Qatar” e “Il destino degli altri”, entrambi hanno riscosso un notevole successo, mettendo così in evidenza non solo le sue capacità nel pilotare, ma anche nello scrivere. Sledet.com ha raggiunto Ivan Anzellotti che con grande disponibilità e cortesia ha risposto alle domande lui poste e si è raccontato totalmente, perfino togliendosi anche qualche sassolino dalla scarpa.
Se le chiedessi di raccontarsi, cosa risponderebbe?
Io sono un ragazzino diventato adulto sognando un mondo che in realtà non esisteva e che infatti è rimasto deluso anno dopo anno sempre di più da una aviazione, sia militare che poi civile, in cui non mi sono riconosciuto.
Quando nasce la sua passione per il volo?
La mia passione nasce nell’adolescenza guardando i cartoni animati giapponesi. Ero affascinato dalle avventure di Goldrake che volava col suo robot per difendere la Terra e volevo emulare le sue gesta diventando un pilota militare. Sapevo che non avrei combattuto contro mostri alieni, ma mi piaceva l’idea di potermi rendere utile al Paese tramite la mia passione per il volo.
Dove si è formato?
Ho frequentato l’Istituto Tecnico Aeronautico “F. de Pinedo” e poi, lo stesso anno della Maturità, ho avuto la fortuna di vincere il concorso per l’Accademia della Guardia di Finanza per il ruolo aeronavale. Il corso di pilotaggio per il conseguimento del brevetto di pilota militare l’ho svolto al 70° Stormo dell’Aeronautica Militare.
Vuol raccontarci il suo percorso lavorativo?
Ho iniziato come pilota militare. Quando ero ragazzino l’idea di diventare un pilota aveva senso solo se l`avessi potuta realizzare con le stellette. Il mondo civile non mi interessava, Alitalia era lontanissima. Nel 1999, dopo alcuni anni di attività operativa, ho cominciato ad avere i primi dubbi su una scelta che non corrispondeva all’ideale col quale ero cresciuto e che aveva formato i miei sogni. Non mi sento ancora pronto di entrare nei dettagli, ma diciamo che ho iniziato a scoprire il “lato oscuro” di una organizzazione che mi ha spinto contro voglia a farmi avvicinare all’aviazione civile e di conseguenza all’Alitalia, di cui ho iniziato a far parte l’estate successiva. Ho volato con il MD80 per otto anni, una macchina eccezionale che mi ha fatto emozionare in ogni singolo volo, ma all’improvviso nel dicembre del 2008 ho ricevuto una mail con la quale mi si diceva che il mio impiego finiva in quel preciso istante. Ed è da questo momento che ho iniziato a girare per il mondo alla ricerca della compagnia e del Paese in cui provare a riavere una vita serena.
È stata una scelta lasciare l’Italia?
In realtà non è stata una scelta, ma una necessità. Con la fine dell’Alitalia e nel 2008, in un periodo di crisi globale del settore aereo, l’unica possibilità di trovare un altro impiego come pilota sarebbe potuto arrivare solo dal Medio Oriente in cui l’aviazione era in forte espansione. Per cui ho fatto le valigie e mi sono trasferito in Qatar, paese a me totalmente sconosciuto, e successivamente, per una serie infinita di circostanze negative, ho cambiato ancora diverse compagnie finendo in Asia.
Vuol parlarci della sua prima esperienza all’estero?
Il trasferimento in Qatar è stato un trauma, non lo nego. Trovarsi catapultato improvvisamente in una cultura così differente, in un clima torrido a cui non ero abituato e in una compagnia aerea con delle tradizioni e modi di fare ben diversi dall’Alitalia ha messo a dura prova le mie capacità di adattamento. Il solo fatto di ritrovarsi a respirare l’aria a 50° vi assicuro che non è divertente, e poi con la moschea davanti alla mia camera da letto, potete immaginare che dormire era impossibile. Ma non c’è nulla che potessi fare, la cultura locale non è tollerante come la nostra dove anzi siamo noi in Italia che dobbiamo allinearci agli usi dei nostri ospiti. In Qatar se non segui le regole o ti lamenti ti mostrano la via dell’aeroporto per il tuo ultimo volo verso casa. E il lavoro è finito.
Lavorativamente parlando, quali differenze ha trovato?
La differenza maggiore sta nell’interpretazione delle procedure. È chiaro che le procedure relative alla condotta di un aereo debbano essere applicate esattamente come dice il costruttore, tuttavia in una attività così dinamica come il pilotaggio, è anche necessaria una certa dose di flessibilità in modo da adattarle alla situazione del momento. Il risultato è che i piloti imparano i manuali a memoria come una poesia, ma poi quando si tratta di metterli in pratica non riescono a gestire le sequenze delle varie operazioni in maniera coordinata e alla fine commettono più errori di quelli che si vorrebbero evitare. Inoltre, l’atteggiamento punitivo dei manager non aiuta, si lavora ogni giorno preoccupati che al primo errore si finisca a rapporto.
La nuova avventura in Qatar è stata per lei uno spunto per scrivere il suo primo libro dal titolo “Storia di un pilota, dal funerale di Alitalia alla fuga dal Qatar”. Che cosa intendeva raccontare nello specifico?
Inizialmente volevo solo raccontare gli avvenimenti accaduti negli ultimi mesi in cui ho lavorato in Alitalia facendo un po’ di chiarezza tra la disinformazione dilagante nei media tradizionali. Quando poi ho iniziato la mia avventura in Qatar ho cominciato a vivere delle esperienze piuttosto singolari e ho pensato che potesse essere interessante inserirle nel libro. La storia si è infatti sviluppata nel tempo aggiungendo capitoli nuovi di tanto in tanto fino a quando ho lasciato il Qatar.
Come nasce il titolo?
Il titolo è un po’ il riassunto di tutta la storia. La mia Alitalia era morta e seppellita, quella che è nata dopo è qualcosa di diverso. In Qatar posso anticiparvi che non mi sono trovato bene e quindi ho cercato di andare via il prima possibile, anche se io non sono veramente fuggito, ma tanti altri piloti lo fanno, o almeno lo facevano ai tempi in cui ero lì e, sebbene il libro sia di fatto una mia biografia, con “Storia di un Pilota” voglio dire che la mia esperienza non è unica nel suo genere. Io sono solo uno dei tantissimi piloti costretti a lasciare l’Italia per cercare fortuna all’estero e a cui ho dato una voce.
Che messaggio voleva far emergere con questo libro?
Noi piloti siamo sempre raffigurati come una categoria di privilegiati, sempre in vacanza in posti da sogno e con un lavoro facile, tanto c’è l’autopilota che fa tutto. Col mio libro ho voluto mostrare che invece c’è molto altro, la nostra professione richiede tanti sacrifici, studio, esami continui con il rischio di perdere il lavoro facilmente per mille motivi senza delle adeguate garanzie. E le nostre famiglie condividono parte di questi sacrifici, soprattutto quando sono costrette a seguirci in giro per il mondo con traslochi intercontinentali.
Qual è stata la difficoltà più grande che ha trovato nello scrivere il libro?
Questo è stato il mio primo libro e all’epoca neanche ero sicuro che fossi in grado di scriverlo. È nato come una serie di note personali per non dimenticare i fatti vissuti e solo successivamente è diventato una storia completa. La paura più grande è sempre stata quella di non riuscire a essere interessante. Ho letto tante biografie di piloti famosi e spesso mi hanno annoiato perché si limitavano a raccontare la sequenza degli eventi in maniera meccanica, senza passione. Quindi ho cercato di dare alla storia uno stile differente, come fosse raccontata a voce, inserendo tanti fatti curiosi sul mondo dell’aviazione ed episodi divertenti che mi sono capitati.
“Il destino degli altri” è il titolo del suo secondo lavoro autoriale. Vuol parlarne?
Dopo “Storia di un Pilota” avevo ancora voglia di raccontare le mie esperienze in aviazione, però l’idea di scrivere una nuova biografia o un libro tecnico che sarebbe finito solo nelle mani degli appassionati di aviazione non mi entusiasmava, volevo scrivere qualcosa di diverso e originale per avvicinare alla lettura anche chi, di aviazione, non fosse strettamente interessato. È stata mia moglie a suggerirmi di scrivere un giallo, ambientandolo appunto nel mondo dell’aviazione. All’inizio ho pensato fosse un progetto impossibile da realizzare, poi piano piano, sempre con l’aiuto di mia moglie la storia è uscita fuori e quindi tra le vicissitudini dei personaggi impegnati a risolvere il caso di un omicidio avvenuto a bordo di un aereo, racconto come si è trasformato il nostro lavoro negli ultimi anni, soprattutto con il nuovo devastante fenomeno del “Pay to fly” che costringe tanti ragazzi a pagare le compagnie aeree per poter pilotare gli aerei, invece di ricevere uno stipendio, al fine di accumulare ore di volo sufficienti per avere un curriculum presentabile, con ripercussioni pesanti sulla sicurezza perché di fatto la selezione del personale non è più basata sul potenziale, ma sugli zeri del conto in banca dei candidati. La storia è anche ricca di avventura, azione e suspence, e si dipana tra Roma, Taipei e Hong Kong, città che conosco bene per averci vissuto. Il messaggio, da cui il titolo, è che ognuno di noi con le nostre decisioni inevitabilmente influenza il destino delle persone che ci vivono intorno, e questo è particolarmente importante quando le decisioni sono prese da chi dirige grandi organizzazioni come le compagnie aeree. Etica e onestà intellettuale dovrebbero essere alla base della condotta dei manager, purtroppo non è così e le conseguenze le vediamo ogni giorno.
Dopo l’esperienza in Qatar dove ha proseguito il suo lavoro?
Inizialmente mi sono trasferito a Londra in una ben nota low cost con l’idea di spostarmi a Roma appena possibile e fermarmi definitivamente. Invece mi è stato proposto di andare a Lisbona per aprire una nuova base, ma le cose non sono andate affatto come speravo e da lì mi sono poi spostato in Asia, prima a Taiwan e poi a Hong Kong dove sono attualmente.
Per quale compagnia sta lavorando?
Preferirei non dirlo, ormai quando un pilota cita la compagnia per la quale lavora tutto quello che dice può essere usato contro di lui.
Che cosa significa oggi, essere un pilota?
Significa vivere una vita da precario, con l’incubo di perdere il lavoro in qualsiasi momento. Ormai la bilancia tra vantaggi e svantaggi pende su questi ultimi al punto da domandarsi: ma chi me lo fa fare? E la risposta la troviamo nella grande passione che abbiamo per una professione che è ancora affascinante perché ci regala emozioni uniche, ma a che costo!
Qual è il sacrificio più grande del suo lavoro?
Credo che il sacrificio maggiore sia l’essere costretti a togliere tempo prezioso alla propria famiglia con i nostri turni lontano da casa con l’orario, o a volte la data, di ritorno sempre incerta e poi la consapevolezza che se il lavoro finisce, il prossimo potrebbe essere in posti lontani. Io non ho figli, e quindi per me muovermi è relativamente facile, ma a dover pensare anche alle scuole diventa molto complicato.
Vuol raccontarci un aneddoto divertente che le è capitato durante la sua carriera da pilota?
Ce ne sono tanti, ma direi che il migliore è stato quando una mattina sono decollato da Trivandrum, in India, col sole che ancora non era spuntato, e il comandante, vedendo una bella Luna in cielo, mi ha chiesto come facesse ad essere illuminata. All’inizio pensavo che scherzasse, quando poi mi ha chiesto conferma che fosse la Terra ad illuminarla ho capito che parlava seriamente. Allora, mentre il Sole lentamente sorgeva all’orizzonte, gli ho spiegato che è appunto il Sole ad illuminarla. Lui ha iniziato a guardarmi pensieroso e poi mi fa: “Ma Aivan (così mi chiamano fuori dall’Italia), è comunque una cosa strana… guarda: il Sole è là e la Luna lì, è giorno e li vediamo nel cielo contemporaneamente. È proprio strano!” Allora ho preso il foglio del piano di volo, l’ho girato e ho disegnato Sole, Luna e Terra come si fa con i bambini, per dimostrargli che a volte, a seconda delle orbite, il fenomeno è possibile. Lui mi ha ringraziato convinto e io ho creduto di essere in una candid camera.
Vi è un sassolino che si vuol togliere?
Solo uno? Vabbè, c’è un fatto che mi è successo e al quale penso spesso perché avrei dovuto reagire in maniera differente, ma mia moglie mi aveva pregato di fare così e io non l’ho voluto contrariare. In una delle compagnie per la quale ho lavorato a Hong Kong erano soliti assumere comandanti esterni talmente incapaci che quando lo racconto la gente pensa che il matto sia io. Durante un check al simulatore avevo capito subito che il tizio che avevo a fianco non era mai stato un comandante ed era evidente che non aveva neanche mai volato l’A320. Quando mancano le famose “basi del mestiere” te ne accorgi in un secondo. Una performance imbarazzante, eppure il nostro esaminatore, che era il capo dell’addestramento, lo ha promosso con tanti complimenti.
Perché è successo?
Perché solo poche settimane prima ero andato da lui a lamentarmi della qualità dei comandanti che venivano assunti e del fatto che non mi sentivo sicuro di volare con molti di loro. Ovvio che dopo quella chiacchierata, bocciare il comandante avrebbe significato darmi ragione e, uscito dal simulatore, volevo andare a denunciarlo all’Autorità dell’Aviazione Civile. Ma poi appunto mia moglie mi ha suggerito semplicemente di rassegnare le dimissioni e mi sono spostato in un’altra compagnia di Hong Kong molto più seria.
Che consiglio può dare ad un giovane che vorrebbe intraprendere la sua professione?
Il consiglio che do sempre è quello di essere consapevoli che fatti come quelli che ho appena raccontato succedono più spesso di quanto si possa credere e che bisogna scegliere con molta attenzione la compagnia nella quale iniziare la propria carriera altrimenti è facile cadere in depressione e perdere la motivazione per una professione che altrimenti regala soddisfazioni incredibili. Da ragazzini siamo tutti pronti a diventare piloti “a qualunque costo”, anche io dicevo così, e capire che invece essere un pilota professionista va fatto al costo giusto potrebbe essere troppo tardi.
Chi è Ivan quando non veste i panni di pilota?
A incontrami fuori dall’aeroporto risulta difficile capire che sono un pilota perché tolta la divisa non parlo mai di aeroplani. Sono una persona molto creativa, con mille interessi e oltre alla scrittura, mi piace scattare foto alla natura e, da grande fan di Goldrake che sono, mi potete incontrare ai vari Comics in giro per l’Italia nei panni del robottone giapponese. Forse un mio difetto è che parlo tantissimo, per lo meno è quello che mi dice sempre mia moglie, ma credo faccia parte di questa mia indole per cui amo raccontare gli aneddoti divertenti che mi capitano e confrontarmi con gli altri.
Attualmente in cosa è impegnato?
Al momento sono alle prese con la stesura finale del mio prossimo libro: “Storia di un pilota 2” nel quale racconto le mie disavventure post Qatar a Lisbona e soprattutto quando mi sono trasferito in Asia di cui ho già anticipato qualcosa in queste righe.
Progetti?
Sì, un progetto molto importante si sta realizzando proprio mentre parliamo perché due giorni fa ho ricevuto una importante offerta di lavoro da una compagnia europea e quindi l’anno prossimo finalmente mi avvicinerò a casa. Sei anni in Asia sono stati abbastanza e con i gravi disordini che stiamo vivendo in questi giorni a Hong Kong, questa opportunità non poteva capitarmi in un momento migliore. Certo si tratta dell’ennesimo trasloco con tutte le complicazioni di cui vi parlavo, se pensa anche che per colpa di una burocrazia malata, sono tre anni che mia moglie (che è dello Sri Lanka) sta aspettando la cittadinanza italiana e ancora non abbiamo alcuna notizia. Senza passaporto italiano sarà un incubo muoversi, ma pare non ci sia soluzione.
Vuole aggiungere altro?
La ringrazio tantissimo per l’invito a questa piacevole intervista e vorrei sperare di non aver scoraggiato nessun giovane a intraprendere la professione del pilota, ma ritengo sia importate sognare di avere la testa tra le nuvole con i piedi ben piantati per terra.
Sledet.com ringrazia per l’intervista il pilota Ivan Anzellotti, e ad maiora!
Grande!
Mi ha tantissimo emozionato la storia di Ivan Anzellotti,sicuramente comprerò il libro. Anche perché sono anche io un pilota (puntualizzo virtuale) volo con i simulatori di volo, credo di farlo bene.Certo ne ha fatti di sacrifici girare il mondo, trovare lavoro d’altraparte del mondo. Devo dire di quello che ho letto è una persona eccezionale coraggiosa leggerò il suo libro per capire meglio il suo carattere. Saluti Aloisio.
Ivan, persona e professionista di grande valore che stimo molto con cui ebbi occasione di volare. Peccato però che, come troppo spesso accade in Italia, persone capaci, persone di valore come lui siano costrette a partire e vadano ad “arricchire” con il proprio lavoro e le proprie competenze altri Paesi.
Ivan ha espresso in modo impeccabile la sua avventura, La vita di un pilota è comunque e ovunque una avventura, se si vuole seguire la passione del volo. I giovani che intendono fare il pilota come mestiere devono seguire il suo suggerimento di cominciare in una compagnia seria. I piloti saranno ancora necessari in futuro, almeno per i prossimi 10-15 anni, anche in Italia ?