Intervista al pilota Gian Maria Gabbiani


“Il pericolo c’è e non bisogna dimenticarselo mai, però si tende sempre a minimizzarlo perché altrimenti non si potrebbe salire in macchina” 

Intervista di Desirè Sara Serventi 

Grintoso, determinato e con una gran voglia di vincere che non teme rivali, è lui Gian Maria Gabbiani, il pilota italiano che in questi anni ha fatto del Motorsport, sua più grande passione, la sua professione. Ha mosso i suoi primi passi nel mondo dei motori con il karting per poi correre con le ruote coperte, senza però fermarsi su una sola disciplina ma continuando a spaziare in nuove: ha infatti corso con le quattro ruote, le due ruote, e perfino nella motonautica con l’offshore, gareggiando ai mondiali in Class-1. Gian Maria Gabbiani è uno che ama dare il massimo quando è in gara, e lo dimostra ogni volta che si trova in pista. Ha un grande bagaglio di conoscenze quando si parla di motori, dato direttamente dall’esperienza fatta in questo settore. La sua poliedricità e la sua evidente versatilità a nuove discipline sportive fanno di lui un pilota che non teme certamente di mettersi in gioco. Diversi i titoli che si è portato a casa, tra cui una Medaglia d’Oro al valore sportivo nel 2014. Gabbiani è uno che ama la velocità in pista, ma che fuori per strada non preme insensatamente il piede sull’acceleratore, perché quando si parla di sicurezza Gian Maria è sempre in prima linea. Organizza ormai da tempo dei corsi legati alla guida sicura rivolti ai giovani, che troppo spesso cercano di imitare i piloti senza comprendere che la strada non è una pista. I microfoni di Sledet.com hanno raggiunto Gian Maria Gabbiani che si è raccontato, parlandoci della sua carriera, dei suoi traguardi e non solo. 

Quando nasce la sua passione per il mondo dei motori?
Con mio padre ex pilota di Formula 1, diciamo che per quanto mi riguarda posso dire di essere cresciuto nell’ambiente. Fin da piccolo avevo i motori in casa, quindi ho sempre coltivato questa passione. Io già a tre anni e mezzo, giravo col go kart in azienda da mio nonno, e quindi il gioco è diventata una passione, e la passione è diventata uno sport, e lo sport, è diventato il mio lavoro.

La sua prima gara?
La primissima gara io volevo vincere a tutti i costi e infatti, ero in testa. Ho fatto la pole position, e avevo vinto gara 1, gara 2 e gara 3, ed ero il favorito per la vittoria finale. Ma durante la gara, continuavo a guardare il distacco che vi era tra me e il pilota che avevo dietro, perché io volevo non vincere, ma stravincere! Ad un certo punto invece feci un errore. Il secondo pilota mi sorpassò, e io per la smania di vincere commisi uno sbaglio che mi causò un cappottamento incredibile. Possiamo definirlo il famoso “debutto col botto”. Nonostante tutto comunque, dimostrai di avere le carte in regola per essere definito un pilota.

Mi permetta, ma in quel periodo era leggermente esuberante?
Diciamo che la volontà di vincere non era legata all’esperienza che poi mi sono fatto dopo. In quella gara, ero troppo concentrato nel cercare di capire se il mio operato era giusto o sbagliato, e se nello specifico guadagnavo o perdevo. Quindi, sì ero un pochino esuberante e l’ho pagata. Però vincere le batterie, la pole position, il giro veloce; sono stati tutti momenti bellissimi.

Suo padre, Beppe Gabbiani, come ex pilota di Formula 1 le ha dato qualche consiglio?
Mio padre non mi ha mai dato nessun consiglio se non a posteriori di una gara. Mi ha sempre trattato come un suo collega, e qualsiasi cosa lui ha condiviso con me, lo ha fatto sempre in veste di collega, e non come quello di padre e figlio.

Qual è stato il suo percorso lavorativo?
Io amo il motorsport praticamente a 360°. Ho iniziato con il karting per poi passare alle formule cadette in preparazione della Formula 1. Poi, ad un certo punto la Formula 1 è diventata inarrivabile; abbiamo avuto un avvicinamento con un team nei primi anni 2000, però è una cosa che non siamo riusciti a concludere come accordo, ed allora, ho iniziato a correre con le ruote coperte, sia con il GT che con il turismo, e da lì poi, ho iniziato una carriera da professionista impegnandomi al massimo.

Vuol parlare delle sue vittorie?
Nelle auto avrei voluto vincere di più… ma mi impegnerò ancora per portare a casa qualche titolo nel breve! Il Motorsport è uno sport di squadra e deve essere tutto perfetto per la vittoria finale… anche se la “Dea Bendata” è stata un pò tirchia in diverse occasioni. Nel 2009 sono stato Vice Campione Italiano Turismo per un punto con un weekend di gara in meno, è stata una stagione pazzesca! In barca invece, sono stato Campione Mondiale Powerboat 2011 e 2012, mentre sono arrivato terzo nel Mondiale P1 del 2013. Poi sono arrivato al quinto posto al Mondiale Offshore Class-1, e vincitore del Venezia Monte-Carlo 2015.

Qual è la difficoltà più grande che ha riscontrato in questo settore?
Sicuramente ho un cognome importante, e diciamo anche pesante nell’ambiente. Mio padre è stato un talento indiscusso a cavallo con gli anni ’70 e ’80, quindi hanno sempre fatto dei paragoni, che poi di fatto non c’entrano nulla calcolando che come ho detto mi sono sempre arrangiato, e molti errori li ho pagati in prima persona, e li pago ancora. Ho preso dei rischi, e a volte degli azzardi, ma posso comunque affermare che sono andati bene.

Un azzardo che poi è andato molto bene, potrebbe essere stato quello della motonautica?
Esatto, e la cosa simpatica è che l’ho provata in gara. Ho un carissimo amico che mi ha approcciato a questo sport, ed è stato mio mentore nella motonautica. Fu lui che mi disse che la motonautica o la ami o la detesti, non vi sono mezze misure. E in effetti è proprio così. Nella prima gara mi divertii tantissimo e infatti, da quel momento in poi, vinsi la seconda, e da li a poco vinsi il primo titolo Mondiale. Sono riuscito a trasferire tutta l’esperienza fatta con le quattro ruote, le due ruote, e il go kart, nell’ambiente della motonautica che per alcune cose diciamo che, è ancora in fase di sviluppo.

Il suo talento nell’offshore, le ha permesso di partecipare al Campionato mondiale in Classe 1. Che ricordo ha del suo debutto?
Anche il mio debutto in Classe 1, che è la classe regina per le barche offshore, e che corrisponde per fare una similitudine alla F1 e al moto GP, è stato molto bello. Bolidi con quasi 2000 cavalli: un mondo totalmente diverso rispetto alla realtà italiana dove ero abituato. L’ho fatto con Guido Cappellini, il dieci volte Campione del Mondo in Formula 1, perché nell’offshore ci sono sempre due piloti: il pilota e il navigatore. Con Capellini stavamo vincendo la prima gara, invece si ruppe una candela a due giri dalla fine. Comunque, è stato per me motivo di vanto, anche perché sono stato l’unico atleta che stava vincendo al suo debutto in Classe 1, anche se questo non si potrà certamente definire appagante perché siamo arrivati a bocca asciutta, però è stata una cosa molto bella.

Come è avvento il passaggio dalla pista alla motonautica?
E’ stato per puro caso. Diciamo che non è stato proprio un vero e proprio passaggio, bensì, un’alternanza di gare nell’arco dell’anno.

Potrebbe essere più preciso?
C’è stato un momento in cui alternavo gare tra il Mondiale Superstar con la Jaguar, il Mondiale Classe 1 con il catamarano, il mondiale P1 col monocarena, e delle gare in moto, quindi, fu un anno intenso dove giunsi a grandi vittorie. Diciamo che furono tutti risultati che contavano, anche perché erano in discipline diverse, quindi, la mia poliedricità ha avuto un suo trofeo, anzi, più di uno.

Quali?
Un quinto posto in Campionato KIT3 con Honda , e un terzo posto nel Mondiale P1.

Vuol raccontare della sua esperienza all’evento, Venezia Monte-Carlo del 2015?
Un esperienza bellissima. Viene definita la Parigi-Dakar del mare. Da Venezia per 14 giorni in navigazione con delle prove speciali per arrivare poi a Monte-Carlo. La cosa singolare per me è stata che non avevo la patente nautica, e non avevo mai fatto una navigazione in mare aperto. Praticamente c’era questa barca promozionale che aveva due piloti Australiani, e la Federazione Italiana mi chiese, essendo io un pilota che parlava l’inglese, di coordinare insieme i lavori. Dominammo dalla prima gara barche molto più potenti delle nostre, e fummo capaci di amministrare il vantaggio dall’inizio alla fine. Furono due settimane fantastiche, e poi, vincere il Leone d’Oro e arrivare in porto a Monte-Carlo con tutti quei mega yacht che ti omaggiano con la loro sirena, fu veramente molto bello.

Qual è la gara che ricorda con più piacere?
Bella domanda! Devo dire che una gara molto bella è stata sicuramente il mio debutto nel Campionato Italiano GT nel 2004 nel circuito di Enna-Pergusa, dove praticamente mi chiamarono il mercoledì per dirmi che avrei gareggiato il giovedì. Riuscimmo a fare la pole position e vincemmo subito, nonostante avessimo avuto un problema di benzina.

Cioè?
La macchina consumava molto carburante, e per questo noi non potevamo permetterci di fare un giro in più, calcolando che le gare del GT Italiano duravano all’epoca un’ora, adesso invece durano 55 minuti. Quindi per farla breve, entro lo scoccare del 60° minuto bisognava prendere la bandiera a scacchi. Mancavano dieci secondi allo scoccare del minuto e avevo circa tredici, quattordici secondi di vantaggio sul secondo, quindi mi fermai davanti alla bandiera aspettando il cronometro. Praticamente vinsi per mezzo secondo, perché ripartii da fermo con questa Ferrari che stava arrivando. Vincemmo per venti, trenta centimetri di differenza.

Qual è la gara che le ha lasciato l’amaro in bocca?
Ho un campionato che mi è rimasto in sospeso. Campionato Italiano Turismo Endurance con la Honda Civic by JAS, dove dominammo un intero campionato, e dove partivamo da sfavoriti. Ad un certo punto però, saltammo la tappa di Vallelunga ed a Misano ebbi un problema all’impianto elettrico, e in quel passaggio il mio vantaggio si azzerò pur vincendo diverse gare. Persi il Campionato Italiano per un punto. Comunque, fu per me un onore vincere a Varano insieme ad un pilota Ivan Capelli, davvero un ricordo bellissimo.

Come riesce a gestire lo stress dato dal rischio del suo lavoro?
Non lo vedo uno stress perché è esattamente quello che voglio fare. Come persona sono proprio allineato in quella situazione, e sono felice di fare quello che faccio. E’ vero che corriamo determinati rischi, ma il gioco, per me, vale la candela. A fronte di questo, è chiaro che cerco sempre di ridurre il rischio al minimo, il pericolo c’è e non bisogna dimenticarselo mai, però si tende sempre a minimizzarlo, perché altrimenti non si potrebbe salire in macchina.

Nel 2014 dal C.O.N.I ha ricevuto la Medaglia d’Oro al valore sportivo?
Esatto. Mi hanno dato la Medaglia d’Oro al valore sportivo, ed è stato un onore incredibile ricevere sia la pergamena che la medaglia. La conservo con sentimento!

Qual è la frase che ha caratterizzato il suo percorso lavorativo?
Sicuramente la frase che mi ha caratterizzato è: nothing is impossible, ovvero, niente è impossibile. Non per fare retorica, ma credo che la passione permette di arrivare anche se non si è un talento naturale, però, è solo la pratica che permette di arrivare a livelli eccelsi.

Lei ama diverse specialità?
Io mi divido in più specialità, non amo la specialità in quanto tale, bensì, amo la competizione. Mi piace tantissimo mettermi in competizione e spostare quell’asticella del mio limite sempre più in alto. Poi è ovvio che se il mio limite è un valore assoluto come un titolo mondiale, è chiaro che sono più contento.

Da anni è impegnato nell’organizzare corsi legati alla guida sicura. Molti giovani non percepiscono il fatto che vi è una notevole differenza tra una strada e una pista. Lei cosa dice a riguardo?
Io ho fatto diverse stagioni scolastiche per diverse realtà cercando di spiegare proprio questa differenza ovvero, che la strada è comunque quella lingua d’asfalto che ti permette di spostarti dal punto A al punto B. I ragazzi d’oggi ormai giocano con i videogiochi e nel momento in cui vedono una rotatoria, per loro è una chicane! Cerco quindi di far capire la differenza tra i piloti e loro. Quando noi piloti siamo in pista abbiamo: il casco, la tuta ignifuga, il sottotuta ignifuga, il rollbar. Le macchine sono create per la corse, e le gomme sono ad alto coefficiente di aderenza e adibite al 100% per le competizioni. Cercare quindi di provare quel brivido passando con un semaforo rosso a tutta velocità non darà all’incosciente di turno nessun premio, e nessuna coppa, perché stiamo parlando di una cosa totalmente selvaggia. Non c’è nessuna bravura a passare a tutta velocità in una strada trafficata o a fare un curvone a 200 all’ora quando il limite è 50. I rischi non sono solo per chi commette la bravata, ma soprattutto per chi in quel momento si trova nei paraggi, perché di fatto, non vi è il tempo tecnico per evitare il peggio.

Che cosa può dire ai giovani?
Da sempre dico sopratutto ai ragazzi dai 14 ai 18 anni di andare in una pista di go kart dove comunque ci sono delle regole, determinate gomme, determinati motori, dove l’abbigliamento è quello consono, e c’è del personale medico a disposizione qualora succedesse qualcosa. Bisogna avere il coraggio di mettersi in discussione e seguire determinate regole sportive per essere realmente il migliore, o comunque dare un classifica personale interfacciandosi con gli altri.

Cosa vuol dire essere un pilota?
Dedicarsi totalmente a questa disciplina

Che cosa rappresentano per lei i motori?
La mia vita!

Quale consiglio vuol dare a quei giovani che vogliono intraprendere la sua professione?
Di impegnarsi il più possibile e non mollare mai perché comunque, gli insuccessi sono sempre superiori ai successi. Mai mollare il colpo se non si riesce subito, ma bisogna capire dove esattamente si sta sbagliando per poi migliorarsi, quindi imparare dai propri errori.

Attualmente in cosa è impegnato?
Gestisco gli sponsor per le mie attività, e ho un’attività di consulenza per aziende multinazionali dedicate alla formazione. Adesso ho un bellissimo progetto per Bosch “Allenarsi per il Futuro” dove siamo circa una trentina tra atleti ed ex-atleti con medagliati olimpici, campioni del mondo, campioni italiani e altri, e noi in veste di “EducAllenatori”, andiamo nelle scuole cercando di spiegare quanto sia importante allenarsi alla vita, al lavoro, e allo sport.

Progetti?
Ne ho tanti. Ma non posso parlarne perché tutti in fase di lavorazione. Posso solo dire che sto collaborando con un azienda che produce videogiochi, e con loro stiamo producendo i suoni dei motori da inserire poi, nel gioco.

Vuole aggiungere altro?
Mi piacerebbe poter tentare un Guinness World Record per portare i miei limiti personali ad un valore assoluto.

Sledet.com ringrazia per l’intervista Gian Maria Gabbiani, e ad maiora!

 

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