“Bisogna fare attenzione alla gelosia patologica, perché quando diventa persecutoria è una forma di violenza”
Intervista di Desirè Sara Serventi
Sono sempre di più le donne vittime di violenze subite da “uomini” che dicono di amarle. E lo sa bene il noto criminologo Sergio Caruso, fortemente impegnato in quest’ambito, e infatti, come criminologo fa parte di vari Centri di anti violenza. I microfoni di Sledet.com hanno raggiunto il noto criminologo che ha parlato di questo drammatico tema.
Chi è un criminologo?
Il criminologo è un professionista che deve essere specializzato in criminologia. Si diventa criminologi dopo un qualificato percorso di studi: giurisprudenza, psicologia, pedagogia, per citarne alcuni, quindi è un professionista già specializzato nel suo campo da appartenenza, e che porta quindi il suo sapere nel grande ambito delle scienze forensi, in cui ognuno di noi mette un tassello.
Cosa c’è dietro il suo lavoro?
Grande passione e abnegazione, perché lo dico con estremo orgoglio che io vengo da gente umile. Vengo da un paesino della Calabria e i miei genitori sono persone umilissime, quindi questa è la prova che chi si impegna, chi studia, chi lavora sodo, può fare ottime cose.
Cosa l’ha spinta a svolgere questa professione?
Io non volevo essere la persona che arrestava i criminali, ma proprio colui che studia la mente di queste persone.
Qual è l’elemento principale di questo lavoro?
Mettere sempre l’umano prima di ogni caso. Questo è l’elemento principale che noi come criminologi mettiamo al centro del nostro lavoro.
Sempre più spesso, per via degli ultimi avvenimenti di cronaca, l’attenzione mediatica è sempre più rivolta verso di voi?
Noi abbiamo un grande problema in Italia su questa professione, che è il mediatico. Il mediatico è nemico della scienza, e questo lo voglio sottolineare.
Lei è impegnato sul tema del femminicidio?
Questo è sicuramente uno degli ambiti che mi vede più impegnato, anche perché faccio parte di vari Centri di anti violenza come criminologo.
Parliamo di numeri, a quanto ammontano i casi di femminicidio in Italia?
I casi riportano dei dati ufficiosi.
Ha detto “ufficiosi”?
Sì perché in Italia manca un osservatorio centrale sulla vittimologia, infatti siamo uno dei pochi Paesi in Europa a non averlo.
Sempre più donne sono vittime di un raptus di follia da parte di uomini malati, cosa può dire a riguardo?
Bisogna dire una cosa anche per dare la giusta informazione e tranquillizzare le persone che ci leggeranno. Il raptus non esiste, ne in questo caso, ne in altri.
I fatti di cronaca spesso dicono il contrario. E’ certo che il raptus di follia non esiste?
La persona che va ad uccidere la fidanzata o la moglie, non è che di colpo va di matto, ma è una persona che ha sempre manifestato delle difficoltà, dei problemi, diciamo una sorta di aggressività all’interno della sfera emotiva. Questi sono soggetti che già in età evolutiva, in adolescenza, hanno manifestato grosse difficoltà a livello emotivo, in cui già iniziavano a manifestare una serie di reazioni violente nei confronti delle donne, ma soprattutto nei confronti delle emozioni.
Mi permetta, ma spesso le vittime sembra quasi siano inconsapevoli dei rischi che corrono stando accanto a queste persone. E’ esatto?
La vera vittima è sempre inconsapevole. Infatti nei Centri di anti violenza si vedono delle donne visibilmente frustrate, che però continuano a difendere il marito, e questa è una sorta di dipendenza affettiva, in cui più c’è il trauma, e più si legano vittime e autore del reato.
Per quale motivo?
Per il semplice fatto che la maggior parte delle violenze passano verso un fattore in cui tutti noi siamo potenziali vittime, e che è la violenza psicologica, una violenza che non lascia tracce ma che uccide ogni giorno senza nemmeno rendersene conto, ma che determina dei sensi di colpa.
Molte donne asseriscono che la denuncia non rappresenta per loro una sicurezza. Cosa può dire a riguardo?
Le forze dell’ordine fanno un grandissimo lavoro quotidiano su tutti i territori, ma va detto che in alcuni casi è la vittima che inconsciamente abbassa le difese. Poi è vero che spesso non funziona bene la macchina della giustizia, ma in molti casi le denunce vengono ritirate, perché nel ciclo di violenza emergono una serie di fattori, tra cui quella sorta di luna di miele.
Sarebbe?
Sarebbe una sorta di riappacificazione, con la conseguenza però, che ritirando la denuncia molte donne al secondo tour non ci arrivano.
E allora cosa bisogna fare per evitare nuove vittime?
Bisogna fare prevenzione, infatti è quello che noi esperti criminologi l’abbiamo messo come priorità. Perché se noi non aiutiamo la vittima a strutturarsi, la vittima entrerà sempre in questo rapporto distorto. Strutturando la vittima, questa avrà da sola gli strumenti per difendersi da una serie di attacchi, che partono da un senso di colpa, alla vittimizzazione, a degli aspetti manipolatori.
In che modo intendete prevenire?
Arrivare al Centro anti violenza con la donna che ha subito un trauma, rappresenta il fallimento, perché il danno è già avvenuto. Noi dobbiamo già prevenire in età evolutiva attraverso una tecnica pluricodificata in Paesi più evoluti di noi e che si chiama “educazione affettiva”.
Che cos’è l’educazione affettiva?
L’educazione affettiva è lo sviluppo e il potenziamento delle emozioni e l’individuazione precoce dei segnali d’allarme in età evolutiva, così da modificare delle personalità a rischio che possano diventare o dei potenziali autori di violenza o delle potenziali vittime.
Come Centri di prevenzione come è messa l’Italia?
Malissimo. In uno Stato che dovrebbe garantire la prevenzione, si fa prima a contare i morti perché non si investe in prevenzione.
Per quale motivo?
Dicono che non vi sono fondi disponibili.
Che consiglio può dare alle donne vittime di femminicidio?
Il consiglio lo voglio dare a tutte le donne, perché vittime non si nasce ma si diventa.
Quindi?
Il primo consiglio è quello di dire che l’amore malato non esiste, è una frase mediatica che veramente è distorta, esiste solo l’amore. E bisogna ricordarsi che l’amore rende liberi, l’amore non è possesso, l’amore non giustifica nessuna forma di violenza. Voglio dire alle donne di denunciare il partner molesto e di prendere provvedimenti già dalla prima forma di violenza, che può essere uno schiaffo, la gelosia morbosa, o delle azioni persecutorie.
Principalmente a cosa bisogna prestare attenzione?
Bisogna fare attenzione alla gelosia patologica, perché la gelosia è un fattore emotivo che fino ad un certo punto ci sta, però quando diventa persecutoria questa allora, diventa un’ossessione e quindi è una prima forma di violenza.
Come nasce la violenza psicologica?
Con la svalutazione dell’altro.
Il caso più difficile?
Bella domanda! Tutti i casi sono difficili, perché ti trovi in delle situazioni dove non solo va in gioco la metodologia, ma anche te stesso.
Cioè?
Bisogna sempre fare abbassare il pregiudizio, e far emergere la capacità metodologia e la capacità di analisi oggettiva. Ogni volta che vado a fare una perizia c’è sempre questa dinamica e in molti casi questa, è la parte difficile.
Qual è il vostro obiettivo?
Il nostro obiettivo non è giudicare, perché questa è una cosa che spetta alla magistratura e alle forze dell’ordine, e non dobbiamo nemmeno investigare, il nostro obiettivo è decodificare mediante una analisi scientifica di pertinenza e di competenza, il caso in questione.
Che consiglio può dare ai giovani che vogliono intraprendere questa professione?
Devono innanzitutto avere un amore per la disciplina e avere un amore per la relazione di aiuto. Consiglio poi, di scegliere un percorso di studi che possa essere più gradito, e specializzarsi all’interno di un master o di un corso di alta formazione. Aggiungo anche di diffidare dal mediatico, nemico della scienza.
Sledet.com ringrazia per l’intervista Sergio Caruso, e ad maiora!