Cirque du Soleil: intervista all’artista Beatrice Zancanaro


“Cirque du Soleil è la prima compagnia al mondo che ha concepito degli spettacoli circensi senza animali e con un senso artistico affine a quello di uno spettacolo teatrale”

Intervista di Desirè Sara Serventi 

Ha mosso i suoi primi passi nella ginnastica ritmica, la versatile e talentuosa ballerina del Cirque du Soleil Beatrice Zancanaro, per poi militare nella Nazionale Individualiste, riuscendo con la sua naturale predisposizione e la sua preparazione artistica a partecipare sia alle competizioni nazionali che a quelle internazionali. Nonostante i notevoli risultati ottenuti, decide però di allontanarsi dai palazzetti per dedicarsi alla danza, e iniziare così un nuovo e qualificato percorso di studi che l’ha portata a laurearsi in Arti e Scienze dello Spettacolo. La sua qualificata preparazione l’ha portata ad approdare prima come ballerina nel cast della famosa opera popolare Notre Dame de Paris, poi nella nota compagnia Cirque du Soleil. Sul palco Beatrice mette in evidenza non solo ciò che ha appreso durante il suo percorso di studi e l’esperienza sul campo, ma anche la passione che nutre per questa sua professione. I microfoni di Sledet.com hanno raggiunto Beatrice Zancanaro che ha parlato dei suoi inizi e del suo attuale lavoro presso la compagnia del Cirque du Soleil.

Se le chiedessi di raccontarsi cosa risponderebbe?
Direi che è sempre difficile parlare di se stessi, non si è mai abbastanza oggettivi. La mia storia è quella di una normale ragazza che ha avuto la fortuna di poter perseguire i suoi sogni, le sue passioni, le sue ambizioni. Ho sempre avuto la mia famiglia alle spalle, è stato il più grande sostegno che si potesse desiderare e immaginare. I miei genitori mi hanno insegnato ogni giorno il rispetto verso se stessi e verso gli altri e assieme ad esso, la capacità di osservare e ascoltare per imparare, non giudicare a priori, rimboccarsi le maniche per lavorare sodo, riconoscere e apprezzare la propria sorte e saper cadere e rialzarsi sempre.

Quando è nata la sua passione per la ginnastica ritmica?
Mia madre nella sua vita ha fatto ginnastica artistica e nell’estate del 1992, poiché trasmettevano i Giochi Olimpici, voleva mostrarmi quale fosse lo sport che lei aveva praticato; peccato che si fosse sbagliata nel leggere la programmazione, e anziché parallele o trave, mi ritrovai con gli occhi fissi davanti alla tv ad ammirare una giovanissima ginnasta di ritmica con la palla e di lì fu amore a prima vista. Obbligai la povera Patrizia a portarmi al corso per bimbi a settembre: il mio sogno era quello di raggiungere quella ragazza nella “palestra con i cinque cerchi” (il simbolo olimpionico).

Lei ha militato nella Nazionale Individualiste?
Ho fatto ginnastica ritmica fino ai miei 19 anni e dal 2001 al 2008 ho militato nella Nazionale Individualiste, partecipando così a molteplici competizioni nazionali e internazionali, rappresentando il tricolore, fino ai massimi livelli, con Europei, Mondiali, Coppe del Mondo e Grand Prix.

Nonostante i risultati raggiunti decide però di dedicarsi alla danza. Come è avvenuto questo passaggio?
Terminando il liceo, ho vissuto una profonda crisi personale che mi ha portata ad allontanarmi dai palazzetti, così mi sono dedicata alla danza, per non terminare l’attività bruscamente, sotto consiglio di mia zia (che è stata danzatrice ed è tuttora insegnante e coreografa) e dell’insegnante di classico che mi seguiva a ginnastica. La realtà è che mollare gli attrezzi e liberare il movimento sulla musica, senza schemi e confini, era diventata più una terapia che altro. Per approfondire l’argomento ho frequentato qualche stage estivo, ricevendo diverse borse di studio. Mi sono dedicata all’analisi del corpo e del movimento per due anni, attraverso molteplici stili di danza e materie affini; davvero, dal classico all’hip hop, da sbarra a terra a tip-tap, diplomandomi nel 2010 con una specializzazione in modern-contemporary. Iniziando a lavorare ho dato sfogo ad ogni sfaccettatura dei miei interessi motori e artistici, e per intensificare anche da un punto di vista storico-teorico, mi sono iscritta all’università, laureandomi quindi, con un bel 110 tondo, in “arti e scienze dello spettacolo”. La realtà è che non si finisce mai di studiare!

Che cosa le ha insegnato la ginnastica che poi le è stato utile per danza?
La ginnastica la definisco sempre la mia “vita di prima”, era tutta inquadrata e solida, pochi concetti, ma chiari e precisi. Direi che queste sono le colonne portanti degli insegnamenti che mi porto dietro, non solo utili alla danza e al mondo del lavoro, ma alla vita in generale. Lo sport è bello perché è onesto. Ci si allena duramente e si compete sperando di vincere tra i migliori, non di risultare migliore tra i mediocri. Mio nonno mi diceva sempre due cose prima delle gare: “ricordati, che non si vince sempre il primo posto, a volte si arriva anche in fondo alla classifica, ma si vince ogni volta che si ha il coraggio di affrontare una sfida a testa alta, senza paura; e soprattutto, tu fai il tuo, e basta, gli altri ci pensano i giudici a guardarli!”

Quale reputa l’esperienza più significativa per la sua carriera?
La mia carriera è un susseguirsi di esperienze significative, difficile sceglierne una in assoluto, vorrei poterle raccontare tutte, poiché in ognuna c’è un significato.

Volendo porre però qualcosa in evidenza?
Potrei raccontare che nel 2013 sono stata negli Emirati Arabi con Franco Dragone, e in quel periodo sono entrata in contatto con una cultura talmente diversa dalla mia, che mi ha dato la possibilità di riflettere molto sulla fortuna che ho avuto e che ho nella vita e quindi di poterla apprezzare ancor di più, scegliendo il modo e le persone con cui costruire e condividere il bello e il brutto, perché tutto serve per assaporarla fino in fondo.

Notre Dame de Paris invece?
Notre Dame de Paris è stato il tour in cui mi sono divertita di più in assoluto, ho ballato uno spettacolo che ammiravo e desideravo da anni, coreografie che mi facevano sentire il sangue scorrere nelle vene. Ogni tappa è stata importante e intensa, per non parlare delle gite che aggiungevo privatamente tra una città e l’altra, in cui, a parte aver goduto dell’Italia, in lungo e in largo, tra storia, cucina, vino e bellezza, ho conosciuto e mi sono innamorata della persona che oggi sono particolarmente felice di definire il mio fidanzato!

Che ricordo ha della sua prima audizione per il Cirque du Soleil?
La prima audizione con il Cirque du Soleil risale al 2011, a Roma. Eravamo più di mille persone, derivanti veramente da tutta Europa e non solo, e appartenenti a centinaia di stili diversi di danza. Il primo giorno siamo stati soggetti a grandi scremature in cui i talent scout verificavano la tecnica e la velocità di apprendimento. Il secondo giorno… al mattino sono andata a fare la mia prima audizione per Notre Dame de Paris, ma sono stata scartata dopo la prima sequenza, e quindi sono corsa al call back del Cirque, dove mi hanno trattenuta fino a sera inoltrata. Mi ricordo che mi hanno chiesto davvero di tutto, l’impossibile, da passi a due, ad improvvisazioni, a coreografie personali, mancavano solo le analisi del sangue, ormai sapevano tutto. Eravamo rimasti solo in una quindicina, definitivamente stremati. La commissione ci ha fatto un applauso e ci ha informati che eravamo entrati a far parte del data-base della loro compagnia. La felicità era indescrivibile. Da lì, per cinque anni, ho ricevuto diverse mail in cui mi informavano che avrebbero tenuto in considerazione il mio materiale, ma ogni volta arrivavo nella rosa delle ultime cinque candidate per un ruolo specifico, ma non mi hanno mai presa.

Poi?
Ad agosto 2016 ricevo una nuova mail, mi considerano all’altezza per partecipare ad un casting, poiché erano alla ricerca urgente di una danzatrice con background da ginnasta. Dopo aver chiesto il permesso alla produzione con cui stavo lavorando, di poter inviare dei video come nuovo materiale, mi sono messa subito al lavoro. Se non fosse stato per Alberto Poli (il mio moroso, che è anche acrobata in Notre Dame de Paris), avrei abbandonato l’idea di quel progetto, perché mi stavano richiedendo l’impossibile.

Che cosa intende dire?
Lui non ha smesso di credere in me un solo istante, e non solo mi ha aiutata insegnandomi alcuni elementi acrobatici, ma con il suo grande talento nel saper vendere un prodotto, mi ha rivoltata come un calzino e mi ha spronata a portare a termine l’impegno. Due settimane dopo mi informano che il materiale video è stato approvato e che ne serviva uno ancora più intenso.

Quindi?
Ho chiesto l’aiuto anche di Martina Ronchetti (amica, compagna di stanza, danzatrice di Notre Dame de Paris), che è stata la mia coreografa personale per qualche ora e in un solo pomeriggio abbiamo impacchettato il mio biglietto per Las Vegas, dove sono stata invitata a partecipare all’ultimo call back live per quell’audizione. In America è stato meraviglioso poter entrare in contatto con quel mondo di artisti circensi, sebbene, in fine, avessi ricevuto l’ennesimo “no”. Eppure, un paio di mesi dopo, squilla il telefono e sento la voce del talent scout sezione danza del Cirque du Soleil, che mi informa che sono stata scelta per il primo cast al mondo che avrebbe creato due nuovi spettacoli su una nave da crociera ancora in costruzione e che sarebbe diventata una delle più grandi e lussuose imbarcazioni nell’arco di pochi mesi. Dire che “non potevo crederci” non esprime ancora abbastanza il concetto…il mio cuore ha mancato un battito in quel momento! Cinque anni, un’eternità, una valanga di cadute, una valanga di rialzate. Purtroppo non ho potuto dirlo a mia madre, l’ho persa quando avevo 26 anni, ma ho chiamato immediatamente Alberto: condividere una gioia del genere con lui non aveva prezzo, anche perché metà dell’opera era stata fatta dalle sue mani e io ho superato quel gradino solo grazie a lui!

Il Cirque du Soleil non si può certamente definire un circo tradizionale. E’ esatto?
Cirque du Soleil non è assolutamente un circo tradizionale! Si tratta della prima compagnia al mondo che ha concepito degli spettacoli circensi a livello contemporaneo, senza animali e con un senso artistico affine a quello di uno spettacolo teatrale. Gli show sono degli unicum, con una trama e quindi un susseguirsi di atti che mixano immensa tecnica e notevole arte. Ormai esistono tantissime opere firmate Cirque du Soleil, quindi ce n’è per tutti i gusti, per chi vuole qualcosa di più spettacolare e ammaliante, o per chi desidera una storia più intrigante e una rappresentazione ad hoc.

Vuol raccontare un aneddoto divertente che le è capitato?
Oh sì! Dunque… generalmente la categoria degli artisti e dei tecnici che lavorano nel mondo dello spettacolo, rispecchia il cuore di persone piene di passione, professioniste e professionali, ma che tendenzialmente non utilizzano un vocabolario particolarmente forbito. Bene, questo era il preambolo necessario per capire il senso della storiella che ora vado a raccontare… Eravamo al nostro primo mese di spettacoli a Milano, marzo 2016, Alberto era il nuovo swing degli acrobati (ovvero colui che conosce tutti i ruoli e che dà i turni di riposo a ogni acrobata), quindi soffriva leggermente di crisi di identità (non è vero, ma io lo prendevo in giro a riguardo). Verso la fine dello show, tre degli acrobati, si travestono da “Frollo”, come controfigure per realizzare la caduta dalle scale e quindi la morte del personaggio.
Una sera Albi mette il suo talare, appoggia il cappuccio nero sul capo e leggermente chino, si dirige presso il retro del “muro della cattedrale”. Con l’educazione che gli appartiene, si rivolge ad un macchinista, in questi termini: “mi perdoni buon uomo, saprebbe indicarmi, gentilmente, la strada per la morte di Frollo?”. L’addetto alla quinta ha sgranato gli occhi, ha aperto le braccia, ha perso il fiato per qualche secondo, si è guardato intorno per capire se fosse uno scherzo, si è girato verso Alberto e ha detto “…me c*j**i…ahò…de qua!”. Gli ha indicato l’uscita verso la scena e poi scandalizzato è corso a raccontare l’accaduto a tutti! Il giorno dopo, è stato affisso un cartello con scritto “per la morte di Frollo” e disegnata una freccia in direzione del palco. So che detta così, non fa un grande effetto, ma viverla è stata davvero molto divertente!

Cosa significa per lei lavorare al Cirque du Soleil?
Lavorare al Cirque significa avere raggiunto un obiettivo, quindi godere della consapevolezza di essere arrivati fin lì con le proprie forze e di esserselo meritati. Una volta giunti al quartier generale internazionale, a Montreal, ci si rende conto di essere veramente minuscoli ed insignificanti, rispetto all’immensità di una compagnia così grande e potente. Si tratta di circa 5000 dipendenti, provenienti da tutto il mondo e riguardanti ogni singolo settore dello spettacolo. Ogni giorno è un buon giorno per mettersi alla prova e crescere, imparare, osservare, sbagliare e capire come non farlo più. Non è facile, una volta giunti al punto, non si è assolutamente arrivati da nessuna parte, c’è da lavorare duro, ma ogni sforzo viene riconosciuto, quindi vale doppia la soddisfazione!

Voi artisti del Cirque du Soleil vi esibite anche sulle navi da crociera. Qual è per voi la principale difficoltà su questi palchi?
Lavorare in nave ha di base un problema enorme: la vita in nave. E’ un’esperienza particolare, o piace davvero tanto, o non piace per nulla, non ci sono le vie di mezzo. Dopodiché possiamo parlare del fatto che si ha a che fare con un palco che spesso e volentieri è soggetto alle condizioni del mare, ma con una produzione come il Cirque non c’è da allarmarsi, è stato tutto calcolato e ogni atto ha il suo piano di riserva in caso di necessità.

Come si svolge la sua giornata tipo a lavoro?
La giornata lavorativa è la normale giornata di ogni artista: la mattina è libera, si può uscire a farsi un giro o allenarsi in palestra o sdraiarsi al sole e leggersi un libro. Dopo pranzo iniziano le prove, o di formazione per atti di back-up o di “pulizia”, ovvero di mantenimento della qualità. Poco prima degli show si ricevono le note e poi ci si trucca, ci si pettina e ci si veste, quindi si entra in scena. Chiuso il sipario, ognuno ha i suoi compiti, oltre il defaticamento. In questa occasione, per la prima volta nella mia vita, sono stata nominata anche Dance Capitan, quindi oltre ai miei normali oneri da artista, devo integrare qualche ora per gestire al meglio il mantenimento della qualità degli show, ovviamente solo per quanto riguarda le coreografie e le parti al “suolo”, ma per ogni settore c’è un addetto specifico.

Cos’è per lei la danza?
La danza per me è innanzitutto una terapia. Quando posso ballare liberamente senza pensare a tutto ciò che mi sta intorno, provo un senso di libertà e di equilibrio che non ha eguali. Mi permette di vivere e viaggiare e quindi di imparare e crescere in giro per il mondo, a contatto con tante persone provenienti da diverse culture. E’ un modo per aprire e liberare la mente dagli schemi. Ho avuto la fortuna di poter trasformare questa sensazione nel mio lavoro, quindi di conseguenza devo rispettare tutto ciò che ne compete e preservare il più possibile i miei diritti, senza mai inadempiere ai miei doveri.

Chi è Beatrice quando non sta in scena?
Beatrice è una ragazza che ama la propria vita e il proprio moroso! Ho molti hobby e mi piace poterli curare un pochino alla volta tutti quanti. Soprattutto credo fermamente che ogni segmento della mia vita fuori dal palco, sia comunque essenziale a trasformare me sulla scena, quindi me la godo proprio da impazzire!

Progetti?
Certo! Chi si ferma è perduto! Ma sono tutti in elaborazione, quindi per scaramanzia preferirei non svelarli.

Sledet.com ringrazia per l’intervista Beatrice Zancanaro, e ad maiora!

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