“Papà è stata una scuola di recitazione, da quando vedevo i primi film con lui e me li faceva osservare con l’occhio del professionista non dello spettatore. Mi ha insegnato ad amare questo mestiere” spiega Massimiliano Buzzanca
Intervista di Desirè Sara Serventi
Ha iniziato il suo percorso lavorativo nell’avvocatura, per poi intraprendere con successo il mestiere dell’attore. E’ lui Massimiliano Buzzanca, figlio del grande attore del panorama cinematografico italiano Lando Buzzanca. Il suo lavoro nel mondo dello spettacolo è caratterizzato sia da un evidente preparazione artistica che da tanto talento che vengono messi in risalto tutte le volte che sta in scena o su un set. E’ un attore che con la sua spiccata simpatia e professionalità, riesce con naturalezza ad essere amato dal suo pubblico, non solo per il suo brillante modo di recitare, ma anche per la garbatezza con cui si relaziona con gli altri. Si può facilmente affermare quindi che, in Massimiliano Buzzanca simpatia e talento artistico risultano essere un connubio perfetto.
Se ti chiedessi di raccontarti, cosa risponderesti?
Che poi dovrei ucciderti… A parte gli scherzi, questa battuta è la frase che ha fatto innamorare di me la mia compagna e che ho scritto tra le note della mia pagina “social”. Parlando seriamente, sono un attore e preferisco raccontare personaggi, non me stesso, anche perché spesso mi trovo anche noioso. “Ti considero una persona ironica, educata e molto intelligente, soprattutto in matematica e anche giocherellone, ma giusto!” (parole di Carlotta, la figlia della mia compagna, di me)
Da avvocato ad attore, come è avvenuto questo passaggio?
Non senza traumi da parte di mio padre che non mi ha rivolto la parola per quasi un anno, mentre mamma era contenta che avessi trovato la mia strada naturale e non quella tracciata da papà.
Tuo padre è il grande attore del panorama cinematografico italiano Lando Buzzanca. Come ha reagito alla tua decisione di abbandonare la carriera nell’avvocatura?
C’è rimasto male perché voleva continuassi la carriera nell’avvocatura, mentre io da sempre desideravo qualcosa di meno rigido nel mio futuro. Il mio cervello è fatto per fantasticare e inventare, non per seguire rigidi schemi, tant’è vero che l’Avvocato Massaro genio del diritto d’autore e uno dei più grandi avvocati del Cinema Italiano, con il quale ho lavorato per anni, mi ha sempre incaricato di scrivere gli atti perché mi considerava bravo nell’immaginare soluzioni ai problemi, mentre la parte burocratica la affidava ad altri.
Qual è stata la prima cosa che tuo padre ti ha detto riguardo al mestiere di attore?
Che è un mestiere duro, fatto di settimane passate ad aspettare una telefonata che arriva sempre troppo tardi e che bisogna essere molto forti di carattere per sopportare un simile stress. Poi che bisogna sempre essere umili, non bisogna mai considerarsi arrivati e che non si finisce mai né di studiare né di imparare. Ma di contro è un mestiere che, se fatto con professionalità e amore, ti può riempire di soddisfazioni, bisogna solo avere pazienza ed aspettare il ruolo giusto.
Dove ti sei formato artisticamente?
Papà è stata una scuola di recitazione iniziata a 7 anni, da quando vedevo i primi film
con lui e me li faceva osservare con l’occhio del professionista non dello spettatore, mi faceva gustare le espressioni, le pause, le incertezze del personaggio, il movimento di macchina del regista, la fotografia. In parole povere mi ha insegnato ad amare questo mestiere. Poi sono arrivate un paio di accademie, e alcuni insegnanti come Enio Coltorti, Fioretta Mari, ma soprattutto Ivana Chubbuck che mi ha aperto un mondo interiore.
Il tuo inizio?
Ho iniziato come tutti i miei colleghi, ho fatto provini su provini e piano piano ho incominciato a costruire la mia strada, per carità è ancora tutta da sistemare, ma credo di averla preparata con solidi materiali.
Qual è stata la maggiore difficoltà che hai trovato?
Sicuramente il cognome non è stato di aiuto, papà è una presenza ingombrante, ciò nonostante siamo abbastanza diversi, a livello recitativo, quindi non lo ricordo, se non fisicamente, e posso seguire la mia strada indipendentemente da lui. E poi l’età, ho incominciato a quarant’anni, quindi ho saltato tutta la trafila dell’attore giovane con i relativi ruoli, ma anche lì sono riuscito a crearmi il mio spazio.
Teatro, cinema o televisione?
Il teatro è come un concerto live per un cantante, ma se nessuno ti ha mai visto in cinema o in televisione, non ti viene certo a vedere, poi sono tre modi diversi di raccontare un personaggio. Il Cinema ha il suo fascino, anche se racconti nel breve spazio di un film, la Televisione ti permette di dilatare il personaggio in più puntate, ma il Teatro, come scrive il sommo poeta “Qui si parrà la tua nobilitate”. In teatro non c’è possibilità di errore, ogni difetto viene ingrandito, così come ogni pregio.
Cosa deve avere un copione per interessarti?
Raccontare qualcosa che abbia più livelli di lettura.
Che cosa intendi?
Spesso chi scrive si ferma al primo strato, alle prime ovvietà, ha paura di scavare per cercare qualcosa di più complicato, sia nella trama che nella psicologia dei personaggi, perché non sempre si trovano interpreti che sappiano andare oltre lo scritto.
Chi ha questa capacità?
Per fare un nome, Gianmarco Tognazzi, è uno che, invece, va oltre, cerca anche il pelo, pur di rendere ogni secondo reale.
Hai lavorato in film esteri, quali differenza hai trovato rispetto al mondo della recitazione in Italia?
Per certi versi, abissale.
Per quale motivo?
Proprio perché spesso in Italia ci si sofferma al primo effetto, quello più facilmente intuibile, anche se, devo essere sincero, ultimamente ci sono molti giovani che, finalmente, amano mettersi in discussione e trovare soluzioni anche scomode, difficili e faticose. Tornando ai film esteri, hanno tutti imparato da noi, sia come si recita che come si gira un film, poi noi lo abbiamo dimenticato perché abbiamo dato più importanza all’effetto immediato e facile, dimenticandoci il significato originale del termine “recitazione” che in inglese è tradotto con “to play”, giocare, ma che giocando porta in scena la realtà attraverso la reiterazione delle azioni. Oggi il pubblico si è fatto più malizioso, più competente, se non dai verità nei tuoi personaggi, non ti seguono.
Un bravo attore si riconosce da come recita a teatro?
In Teatro non hai la rete di salvataggio, se cadi, cadi per terra. In cinema e in televisione hai i ciack che puoi ripetere quanto vuoi, prima o poi uno buono si trova. Il Teatro, no lì sei in diretta, tu e il pubblico, e sono “augelli senza zucchero” (cit.)
Quale reputi il lavoro più significativo per la tua carriera?
Il prossimo, nel senso che ogni nuovo lavoro può consolidare o distruggere, ecco perché va sempre affrontato come se non ci fosse un domani. E poi guai a guardare al passato, si rischia solo di rimanere intrappolato nelle pieghe dei ricordi.
Cosa puoi dire riguarda al mondo cinematografico italiano?
Non sono certo io quello che ha scoperto una nuova ventata nel nostro panorama. Oggi sono più i registi con cui vorrei lavorare, Brizzi, Avati, Oldoini, Reali, Risi, Garrone, Massimiliano Bruno, Paolo Genovese, Manfredonia, per citare i primi che mi vengono in mente, che quelli che vorrei evitare. E’ come trovarci negli anni ’70, con quella ventata di energia e di creatività che mancava da un po’ nel nostro cinema.
Vuoi dare un tuo parere sulle produzioni indipendenti?
Spesso le produzioni indipendenti vogliono fare le nozze con i fichi secchi ma, fortunatamente, non tutte. C’è un meraviglioso mondo fatto di cinema
indipendente, serio e competente al quale ho spesso guardato con inguaribile ottimismo. Ma la parola d’ordine deve essere sempre “professionalità” ed evitare di fare passi più lunghi delle proprie gambe, bisogna saper crescere con pazienza e fare ciò che si può senza voler per forza accorciare i tempi.
Attualmente in cosa sei impegnato?
In questo periodo ho una serie di progetti che stanno per andare in porto. Questo è un mestiere in cui spesso si rimane in attesa, io fortunatamente occupo il mio tempo scrivendo, e sto proprio aspettando gli esiti della valutazione di uno di questi. Non posso dirti di più altrimenti, aggiunge Massimiliano Buzzanca ridendo, poi…Dovrei ucciderti…
Sledet.com ringrazia per l’intervista Massimiliano Buzzanca.