“La giustizia è una parola vuota perché il più delle volte la giustizia non esiste, non c’è, la rincorriamo, ma non c’è. La legge non è uguale per tutti così come si scrive. La Giustizia in questo Paese resta un’utopia” asserisce Adriana Musella
Intervista di Desirè Sara Serventi
Combatte la mafia Adriana Musella, Presidente del Coordinamento Nazionale Antimafia con un impegno costante, nato da una forte delusione, per non aver ricevuto giustizia per l’uccisione del padre. Figlia dello stimato ingegnere Gennaro Musella, ucciso barbaramente nel 1982 in una strada di Reggio Calabria. Un’uccisione la sua, che doveva essere un avvertimento per tutti gli altri. Fu fatto saltare in aria dilaniato da una bomba nella sua autovettura, nel centro della città, perché si era ribellato alla prepotenza, denunciando dei grossi imbrogli in una gara d’appalto. Da allora Adriana Musella ha deciso di scendere in piazza per far sentire la sua voce, e chiedere giustizia, una giustizia che non solo tardava ad arrivare, ma di fatto per lei e la sua famiglia non è mai arrivata. Nel 1992 inizia il suo percorso dando vita al circolo “Società Civile”, sulla scia di quello che Nando Dalla Chiesa creò a Milano, per poi nel 1995 costituire, insieme al Giudice Antonino Caponnetto il Coordinamento Nazionale Antimafia Riferimenti. Scopo del Coordinamento, quello di sensibilizzare e informare i giovani alla cultura del diritto, raccontando con la sua stessa esperienza gli orrori della mafia. E quando si parla di antimafia, non si può non fare il nome del Presidente del Senato Pietro Grasso, un politico leale ed umano nei confronti non solo del nostro Paese, ma sopratutto leale verso i cittadini, e che è sempre in prima linea quando si parla di lotta alla mafia. Pietro Grasso è sempre presente, affianco della sua grande amica Adriana Musella, tutte le volte in cui ci sono da fare delle commemorazioni per le vittime di questi attacchi. Adriana Musella, si è fatta le ossa col passare degli anni e si è resa conto che la giustizia, non fa il decorso che realmente dovrebbe fare. Ma non demorde lei, e continua a combattere, senza timore, nonostante ormai da diversi anni vive sotto scorta, una scorta che dall’esterno può drammaticamente far sorridere a chi sta nel settore della lotta alla mafia. La sua scorta, infatti, riguarda solo ed esclusivamente il territorio calabrese, considerato da chi di dovere, solo questo, luogo di minaccia per la sua persona. Intanto però, ci sarà un cambio di guardia nel Coordinamento. Il Presidente di Riferimenti Adriana Musella, ha scelto di lasciare la Presidenza, ma non ovviamente il suo impegno sociale in campo nazionale. Riferimenti, infatti, diventerà un’associazione di pedagogie in rete, e lei continuerà a portare il suo messaggio e a lottare e denunciare la mafia, così come ha sempre fatto.
Quando è nato il Suo impegno?
Il mio impegno è nato da una fortissima delusione: quella di non avere avuto giustizia per l’uccisione di mio padre, disintegrato nel maggio del 1982 in una strada di Reggio Calabria. Quella Giustizia che era stata negata dai tribunali con l’archiviazione delle indagini, io ho deciso di cercarla nelle coscienze della gente. La mia è stata una sfida al sistema e alla rimozione della memoria. Mio padre era un cittadino comune, sarebbe stato dimenticato se non mi fossi messa in gioco. Le istituzioni ricordano i propri uomini ma dimenticano gli altri troppo spesso. Sono rimasta in Calabria una terra non mia, ben consapevole del fatto che se fossi venuta via quella morte sarebbe stata dimenticata.
Quindi cosa ha fatto?
Nel 1992 a Reggio Calabria, ho dato vita al Circolo “Società Civile”, sulla scia di quello che Nando Dalla Chiesa aveva costituito a Milano. Nel 1995, sotto la guida del Giudice Antonino Caponnetto, è stato costituito il Coordinamento antimafia Riferimenti. Lo scopo era quello di sensibilizzare, informare e formare i giovani alla cultura del diritto, raccontando loro l’orrore della mafia attraverso quella storia contemporanea che i libri di testo non raccontano.
Perché il vostro simbolo è la gerbera gialla?
Perché è una grande margherita dallo stelo robusto e forte, che ha caratterizzato il nostro Coordinamento. Questo fiore è nato nella prima manifestazione antimafia a Reggio Calabria, il 2 maggio 1993. L’iniziativa fu organizzata nel decimo anniversario della morte di mio padre ed io volevo che tutti portassero in mano un fiore, un fiore per non dimenticare in una città senza voce e senza diritti, dove veniva perfino negata l’esistenza della criminalità organizzata. Gennaro Musella era un uomo semplice e buono. Amava il bello, l’arte, i fiori e rincasando dal lavoro era solito fermarsi lungo il tragitto per coglierli personalmente. Il suo preferito era la margherita. La gerbera è una grande margherita dallo stelo robusto che difficilmente si piega come le persone che nel quotidiano portano avanti la propria battaglia; è simbolo di memoria ma anche resistenza, riscatto e nella sua solarità di speranza, quella di poter scrivere con i gironi una storia diversa. Il riscatto nella memoria, nell’affermazione del diritto alla vita. Questo il messaggio della gerbera gialla e questo è stato il mio obiettivo in questi lunghi venticinque anni.
Il Giudice Antonino Caponnetto credeva nei giovani?
Caponnetto credeva molto nei giovani per cambiamento della società, e quindi, mi ha insegnato a parlare loro. Io ho proseguito lungo questa strada, secondo le sue indicazioni, offrendo la testimonianza di una vita reale e vissuta, una testimonianza di coraggio e di reazione alla sopraffazione mafiosa.
Sta forse dicendo che se il messaggio proviene da una vittima di mafia, il risultato è diverso?
Si riesce a far capire ai ragazzi cos’è realmente la mafia con una testimonianza diretta sia essa di un familiare o di una vittima in prima persona, pensiamo ai testimoni di giustizia, una testimonianza quindi, di una persona che ha vissuto in prima persona l’esperienza. Sono testimonianze che valgono più di tanti sermoni. La legalità, come la resistenza non può andare in cattedra, non s’insegna, si costruisce con fatti concreti.
Per quel che riguarda la sua persona, il tutto è stato finalizzato alla memoria di suo padre?
Il mio intento è stato quello di dare un senso, a ciò che senso non aveva, rendendo utile una morte ingiusta, ma soprattutto riscattando la mortificazione di un corpo ridotto a pezzi, insieme ad essa quella di tutta la mia famiglia. La ragione non ha mai capito il perché di tanta barbarie e non l’ha mai accettata, e quando questo avviene, si rischia d’impazzire. Da qui l’esigenza di dare a quella morte uno scopo e nel contempo alla mia vita, esorcizzando un dolore con l’impegno. In quel poco o molto che ho potuto costruire ho cercato di far rivivere mio padre.
Ha ripetuto più volte la parola “riscattare”, che cosa intende dire?
Riscattare in questo caso, vuol dire fare della memoria uno strumento per concorrere alla formazione di una coscienza critica. La mafia si sa che non è soltanto manovalanza, ma è qualcosa di molto più serio e complesso. Si chiama criminalità organizzata proprio per questo, perché comprende la politica, le istituzioni, gli apparati finanziari, apparati poco visibili, come la massoneria. La mafia è qualcosa di molto complesso, e trasmetterne il concetto vuol dire preparare i cittadini a reagire in una certa maniera.
Vuol ricordare chi era l’ingegnere Gennaro Musella?
Gennaro Musella era un imprenditore, non un eroe. Ricordo una persona buona che, come tutte le persone buone non vedeva il male e non avrebbe mai pensato di fare quella fine. E’ stato fatto saltare in aria nella sua autovettura, in una splendida mattina di maggio, in una strada del centro di Reggio Calabria che oggi porta il suo nome.
Perché fu ucciso?
Si era ribellato alla prepotenza, denunciando dei grossi imbrogli in una gara d’appalto. Erano gli anni ’80 e non esistevano le associazioni antiracket. Facendolo esplodere in pieno centro, in una maniera talmente devastante, hanno voluto dare un chiaro segnale.
Lo Stato vi è stato vicino?
I palazzi sono stati e restano molto lontani. Il peso degli eventi pesa soltanto sui familiari che il più delle volte restano soli ed abbandonati da tutti, come è successo alla mia famiglia, che è rimasta sola senza l’aiuto di nessuno.
E’ cambiato qualcosa?
Assolutamente no. Né alla mia famiglia né a me, è stata tesa una mano. Mio figlio per puro caso non si è trovato su quella macchina con il nonno, e da allora non è mai stato più lo stesso.Una famiglia viene bollata a vita e non smette mai di pagare. Di tutto questo, il cosiddetto Stato se ne infischia.
E’ per questo che decise di scendere in campo?
Io mi sono messa in gioco e ho deciso di coinvolgere la società, perché barbarie così devastanti non possono appartenere solo al privato, ma devono essere patrimonio di tutti.
Quindi, con Antonino Caponnetto ha fondato il Coordinamento Nazionale Antimafia Riferimenti?
Col tempo ho conosciuto Caponnetto e con lui ho fondato questo Coordinamento. Lui mi ha insegnato ad esorcizzare il dolore facendone impegno, mi ha insegnato a dare uno scopo alla mia vita e all’assurdità di una morte. Mi ha insegnato a parlare ai ragazzi, a credere in loro, mi ha insegnato a sperare nella possibilità di un mondo migliore. Sono stata molto fortunata ad averlo avuto come maestro, così come sono stata fortunata ad essere stata a contatto con tanti giovani. Sono loro che hanno dato a me, e non viceversa.
Un impegno costante con i ragazzi?
Con i ragazzi si vivono tante vite in contemporanea, e questo mi ha aiutato tanto, anche se la mia non è stata una scelta indolore, perché mi ha comportato dei grossi sacrifici sul privato. Però, quello che mi appaga oggi è di aver cercato di essere utile, di aver voluto dare un significato alla mia vita, e soprattutto di aver onorato mio padre. Credo di avere raggiunto in questo, il fine che mi ero prefissato.
Quando lo Stato si ricordò di suo padre?
Lo Stato, sotto mie continue pressione si è ricordato di mio padre dopo ventisei anni. Il Ministero degli Interni ha scritto alla mia famiglia, riconoscendolo una vittima di mafia. Ma lei crede che se non avessi fatto sentire la mia voce, se non avessi costruito coscienze, lo Stato si sarebbe mai ricordato di un cittadino comune? Nella morte di mio padre, ho toccato con mano il cosiddetto Sistema, e soprattutto la parola vuota che si chiama “giustizia”.
Che cosa intende dire?
La “giustizia” è una parola vuota perché il più delle volte la giustizia “non esiste”, non c’è, la rincorriamo, ma non c’è. La legge non è uguale per tutti così come si scrive. La Giustizia in questo Paese resta un’utopia.
Su questo fu messa in guardia dal Giudice Caponnetto?
Caponnetto era ben cosciente di quello che era il Sistema, e penso, che tutti ricordiamo il suo sgomento per la morte di Falcone e Borsellino quando affermò che era finito tutto. Quello sgomento oggi può essere il mio, e quello della gente che ha reagito impegnandosi a favore di una società migliore.
Nelle sue parole c’è tanta amarezza?
Oggi io sono molto delusa, perché mi rendo conto che viviamo in mezzo a farse da più parti, non si fa niente per rendere giustizia, per far si che la giustizia sia una cosa giusta, e mettere la giustizia nelle condizioni di operare, ma evidentemente non si vuol fare. Oggi vediamo i boss che camminano indisturbati per le strade per decorrenza dei termini di custodia cautelare. Assistiamo a brillanti operazioni di polizia, che vengono vanificate quando questa gente esce per prescrizione.Vige l’impunità per legge. Per altri versi, tra i guasti prodotti dal giustizialismo, c’è l’attribuzione di un significato fuorviante alla iscrizione e all’avviso di garanzia. Si condiziona l’opinione pubblica prima ancora della celebrazione dei processi, tra clamori mediatici e palcoscenici giudiziari. La verità processuale poi, il più delle volte risulta diversa ma, nel frattempo, vite e famiglie sono state ingiustamente distrutte. Insomma, c’è molta forma ma poca sostanza.
Cos’è cambiato da quando lei ha iniziato questa battaglia?
E’ cambiata la consapevolezza, la coscienza. Quando io ho iniziato, in Calabria si negava l’esistenza della criminalità organizzata, si diceva che era una fantasia, non era neanche riconosciuta l’ndrangheta come entità ed io venivo definita una visionaria.
Può essere più precisa?
Prima si parlava solo di mafia siciliana, ma a tutti appariva come un discorso molto lontano. Sono stati fatti molti passi avanti, ma i passi avanti che sono stati fatti anche nella cattura di tanti latitanti grossi, si sono fatti per una dedizione personale di alcune persone, siano essi magistrati o forze dell’ordine. Si parla di lotta alla criminalità organizzata quando succede una strage, come a Capaci o in via D’Amelio, lì sono stati presi dei provvedimenti. Poi quando ci allontaniamo sempre di più dal fatto, tutto comincia a scemare e la politica torna alla “normalizzazione”. Il problema, invece, dovrebbe essere un quotidiano, un problema contemplato da leggi, da una normativa seria ed efficace, da una riforma di un processo penale che non c’è, dalla riforma della Giustizia che non c’è, e non si vuol fare, perché a nessuno importa che le cose funzionino.
C’è un cambio di guardia nel Coordinamento Riferimenti, lei lascerà la Presidenza?
Stiamo per cambiare pelle al Coordinamento. Io lascerò la Presidenza, ma non il mio impegno sociale, quello continuerà e, credo finirà con me.
Se il suo impegno nel Coordinamento continuerà, perché sta lasciando la Presidenza?
Riferimenti cambia perché sono venticinque anni che io lo guido, e penso che anche l’associazionismo come l’antimafia vada rivisitata. Inoltre, ci vogliono energie nuove. Sono abbastanza stanca, la presidenza comporta un carico di lavoro non indifferente. Quando abbiamo fondato con Caponnetto il Coordinamento, abbiamo creduto che i giovani potessero creare una società nuova. Io mi sono posta il problema di chi potesse ereditare questo testamento, senza tradirlo, mi sono chiesta a chi affidare questa Associazione e ho scelto le scuole e i ragazzi, per la cui formazione Riferimenti è stato costituito.
Sta forse dicendo che, Riferimenti sarà un coordinamento di scuole?
Riferimenti sarà un’associazione di pedagogie in rete, un coordinamento di scuole che si autogestiranno e dove ci sarà uno scambio pedagogico tra i vari istituti e tra le varie esperienze. Quindi, saranno le scuole a guidare l’associazione e noi stiamo lavorando, anzi, ormai abbiamo terminato la revisione dello Statuto.
Da quanto lei ha detto si evvince che il Coordinamento non sarà legato ad una persona in particolare?
Non sarà legata ad una persona in particolare, anche se io continuerò a trasmettere il mio messaggio di testimonianza a coordinare in campo nazionale, quella che è l’attività legata alla memoria e alla resistenza, propria della Gerbera Gialla. Affidando alle scuole questa associazione, concretizzo l’atto costitutivo fatto con Caponnetto. Chi come me agisce in una certa maniera ed è in prima linea, è sempre soggetta ad attacchi vari, vuoi minacce, vuoi atti di qualsiasi natura, come dire contro la persona, io voglio spersonalizzare il Coordinamento dalla persona.
Il Presidente del Senato, Pietro Grasso, come lei è sempre in prima linea quando si parla di lotta alla mafia, infatti la vediamo spesso al suo fianco?
Piero Grasso è oggi Presidente del Senato, ma in realtà non ha mai smesso di combattere la mafia, e dentro di se è rimasto quello che era, per cui noi l’abbiamo sempre vicino. Non c’è una commemorazione di un martire, dove il Presidente del Senato non sia presente, e lui l’ha fatto sempre da magistrato e continua a farlo da Presidente del Senato. Nessun Presidente del Senato l’ha mai fatto prima. Piero Grasso viene qui da me a commemorare mio padre, lo incontriamo nella commemorazione di Capaci per Giovanni Falcone, in Via d’Amelio, l’abbiamo visto per Libero Grassi, per Dalla Chiesa.
Il Presidente del Senato non dimentica nessuno?
Piero Grasso non dimentica nessuno, e svolge le sue funzioni di Presidente del Senato, con il cuore e la testa che ha sempre avuto. Non è un politico Piero, è un’Istituzione alta nel vero senso della parola perché è la seconda carica dello Stato, ma è alta per quello che rappresenta l’uomo, la persona umana. Io nel mio impegno ho messo al centro una persona umana, prima di tutto la persona, con la propria umanità, perché se la persona perde la sua umanità non è più persona.
Ha una grande stima nei suoi confronti?
Piero Grasso è una bella persona al di là del suo incarico. Io lo conosco e l’ammiro e lo stimo come persona, perché ha portato l’umanità della persona che è, la grande umanità che ha, nel suo ruolo istituzionale. Lui è vicino alla gente perché non ha mai perso la propria umanità. Siamo amici di famiglia da circa vent’anni, mi ha seguito nel mio impegno dopo Caponnetto. Gli sono molto grata per la guida, per l’affetto, per tutti i consigli che mi ha dato nei momenti di difficoltà e che continua a darmi. Piero Grasso, è una bellissima persona.
Lei vive sotto scorta?
Sì da ben cinque anni. La scorta mi era stata data prima su tutto il territorio poi, come fanno sempre con queste cose, escono con qualche velina nuova, e quindi ho la scorta solo in Calabria, perché secondo loro la minaccia è solo nel territorio calabrese; ecco perché dico che viviamo in una farsa istituzionale. Io sono andata avanti dalla morte di mio padre a forza di denunce, sicura che la giustizia avesse fatto il suo corso, e questo non è avvenuto. Se prima pensavo che agendo in una data maniera avrei avuto giustizia adesso non ci credo più, perché il potere è dominante, e ha le sue ramificazioni ovunque nelle istituzioni. Questa la lezione che io ho imparato, il potere vince sempre.
Cosa vuol dire a chi sta al vertice del potere?
Lo Stato dovrebbe mettere al centro dell’impegno i valori, che ormai si stanno calpestando in una corsa e in un egocentrismo unico, parlo di valori della giustizia, della democrazia, ma chi agisce per il proprio tornaconto ed è servo di altri poteri, è difficile che questo discorso lo possa recepire.
Tirando le somme?
Posso essere soddisfatta, forse in certi momenti mi chiedo come ho fatto a fare tanto. Chi proseguirà avrà il terreno spianato.
Vuole lasciare un messaggio ai lettori di Sledet.com?
Dico di mettere al centro di ciascuno la persona umana e di non deviare dall’umanità, questa è la base del nostro essere nella società.
Sledet.com ringrazia per l’intervista Adriana Musella, Presidente del Coordinamento Nazionale Antimafia Riferimenti.