140: molto più che un semplice numero


Gli atti vandalici non si possono commentare, perché di fatto si commentano da soli 

Articolo di Desirè Sara Serventi 

Gli atti vandalici provocano dei danni a beni materiali che, come ben si sa, possono anche essere recuperabili, ma quando questi atti coinvolgono la vita di altre persone la questione non si risolve con una pezza per rattoppare i pezzi mancanti e una pacca sulle spalle. Tutto questo lo sanno bene, i familiari delle vittime del traghetto Moby Prince, che si sono viste sfregiare la dedica fatta nella piazza di Cagliari, in memoria dei loro cari. Forse chi o coloro ha commesso quest’atto non sa cosa accadde il 10 aprile del 1991, così come probabilmente nella loro ignoranza o insensibilità non erano a conoscenza del fatto che fu proprio in quella data che presso la rada del porto di Livorno la nave passeggeri Moby Prince e la petroliera Agip Abruzzo entrarono in collisione. La collisione non fu innocua, perché il traghetto pur trovandosi ancora nella rada del porto, provocò dei danni catastrofici per i passeggeri del traghetto. Infatti, se chi si trovava a bordo della petroliera non riportò danni fisici, stessa cosa non si può dire per i passeggeri e i membri dell’equipaggio a bordo del Moby Prince. Un bilancio a dir poco catastrofico, di tutte le 141 persone presenti sulla nave passeggeri vi fu un solo superstite. Il disastro della Moby Prince è stato definito la più grande tragedia della Marina Civile Italiana dal dopoguerra, e la più grande strage sul lavoro. A distanza di anni però, la verità non è ancora emersa, e i familiari quindi non hanno ricevuto alcuna giustizia per i loro cari.

Però 140 non è solo un numero, perché dietro questo numero vi sono bambini, madri, padri, figli, nonni, e dietro questi ancora vi sono un’infinità di persone che girano intorno a quel numero e che, da quel dannato giorno, non riescono a capacitarsi del fatto che i loro cari siano morti così, senza che nessuno prestasse loro soccorso. Per questo motivo sono scesi in Piazza per gridare a gran voce verità e giustizia, e ognuno di loro e spinto da una cosa che si chiama amore. E c’è chi come, il professor Luchino Chessa, figlio del grande Comandante del Moby Prince Ugo Chessa, scende sempre in prima linea, in veste non solo di figlio, ma anche di Presidente dell’Associazione 10 aprile per portare a galla una verità che probabilmente disturba troppo. Questa è solo una parte di quello che c’è dietro quel cartello distrutto dai vandali, persone che se ne fregano di tutto e di tutti, che per divertimento fanno versare altre lacrime a chi di lacrime ne ha già versate troppe. Ci si auspica che certi errori non vengano più commessi, e che le genti avvenire possano conoscere, o per lo meno comprendere, il grande dolore causato da quel fatidico incidente di ventisette primavere fa.

 

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