“Veniamo addestrati per poter operare in qualsiasi contesto e con tutte le tecnologie a disposizione”
Intervista di Desirè Sara Serventi
Una passione verso questa professione che negli anni è cresciuta sempre di più, accumulando esperienza di missione in missione e aumentando la competenza, l’attenzione e la dedizione, senza mai lasciare niente al caso, e senza mai smettere di addestrarsi per non farsi mai trovare impreparato sul campo. Stiamo parlando di lui, Claudio Spinelli, ex incursore del 9° Reggimento d’Assalto “Col Moschin”, forze speciali dell’Esercito italiano che ha operato nella leggendaria TF45. Tanti i teatri di guerra in cui ha operato, tra cui l’Afghanistan, territorio questo dove ha svolto più missioni. Attualmente lavora presso l’azienda di famiglia, ovvero la STAM Strategic & Parteners Group, che si occupa di sicurezza internazionale, intelligence e anti terrorismo. Sledet.com ha raggiunto Claudio Spinelli che con disponibilità e cortesia si è raccontato.
Lei è un ex incursore del 9° Reggimento d’Assalto “Col Moschin”, le forze speciali dell’Esercito italiano e ha operato nella leggendaria TF45. Quando nasce la sua passione verso questa professione?
Quando mi sono arruolato non ero a conoscenza dell’esistenza di questo reparto, anche perché all’epoca se ne parlava veramente poco. La mia passione è nata nel momento in cui ho avuto modo di conoscerli da vicino. Venni infatti assegnato alla stessa caserma dove c’era il 9° Reggimento d’assalto “Col Moschin”. I primi anni della mia carriera militare gli ho passati presso il 187° Reggimento dei paracadutisti e ricordo che la mattina, rimanevo affascinato nel vedere sia l’addestramento che l’affiatamento che avevano tra di loro. Tutto questo mi spinse a voler far parte di questo corpo speciale. Che dire, il resto è storia, ho partecipato alle selezioni per diventare incursore e ho fatto poi il corso.
Lei ha iniziato la sua carriera militare come volontario. È corretto?
Esatto. Nel 1998 sono partito come volontario nella Brigata paracadutisti Folgore.
Quando è entrato negli incursori?
Nel 2000, anche se, vorrei precisare, che i primi anni in servizio gli ho passati in veste di aiutante di sanità, quindi tra le infermerie del Reggimento. All’epoca le cose erano un po’ differenti da adesso, potevano accedere ai corsi di incursore soltanto i fucilieri in servizio permanente, e io non lo ero. Poi che dire, una volta passato in servizio permanente vi fu un reclutamento straordinario aperto a tutti e fu allora che ebbi la possibilità di partecipare alle selezioni. Feci la domanda, poi le preselezioni e le selezioni e da lì poi, iniziai il corso da incursore della durata di tre anni e mezzo, anche perché, il vecchio iter ti brevettava prima come guastatore e sabotatore paracadutista e solo successivamente come incursore. Il primo periodo di addestramento al combattimento durava 14 mesi, poi in quelli successivi, si lavorava per la qualifica da incursore. Diciamo che è stato un corso non solo lungo ma anche molto duro.
Chi è un incursore?
L’incursore è un super professionista, ovvero, un uomo addestrato a 360° a poter fare qualsiasi cosa.
Ha detto: qualsiasi cosa?
Certo, noi veniamo addestrati per poter operare in qualsiasi contesto e con tutte le tecnologie a disposizione, quindi la formazione è fatta in modo che, piccole unità possano essere autosufficienti in qualunque situazione. Ci insegnano a cavarcela con o senza mezzi a disposizioni, anche perché tante volte non si hanno nemmeno tutti i mezzi che si spera di avere.
Tanti i teatri di guerra dove ha operato. È corretto?
Sì è corretto, anche se devo dire che mi sono concentrato un po’ più sull’Afghanistan anche perché quello è stato il teatro operativo degli ultimi diciotto anni.
Anche la sua ultima missione è stata in Afghanistan?
Sì l’ultimo periodo l’ho fatto da marzo 2013 ad aprile 2014 e lì ho passato 375 giorni di fila. Ho preso parte a un progetto molto importante. Poi nel 2014 sono rientrato, ho fatto le ultime cose, e nel 2017 ho deciso di evolvermi e di passare nell’ambito della sicurezza civile.
Qual è il territorio che le ha lasciato un segno?
Sicuramente il territorio afgano.
Per quale motivo?
Perché è quello che mi ha lasciato un grande vuoto, ma nello stesso tempo mi ha arricchito culturalmente e soprattutto umanamente, perché ho avuto la possibilità di vedere un popolo che combatte da tantissimi anni.
Vi è stata un’operazione che l’ha segnata più di altre?
Sì i cento giorni in Afghanistan nel 2007. Devo ammettere che mi ha segnato tantissimo sia sotto l’aspetto umano che lavorativo.
Che cosa intende dire?
Intendo dire che ho visto così tanta disperazione in quei cento giorni, da farmi capire che la guerra non serve a nessuno. Su questo periodo ho scritto un libro che si chiama “Forse speciali. 100 giorni all’inferno”.
In che chiave ha scelto di raccontare il suo libro?
Racconto il tutto come se fosse una pagina di diario, quindi scrivo in prima persona. Alcuni hanno criticato il fatto che siano presenti degli errori di scrittura, ma vorrei precisare che ho volutamente scelto di non farlo correggere perché non volevo venisse cambiato niente di quello che avevo scritto, compreso gli errori. Nel libro racconto l’esperienza che mi ha cambiato. Chi lo legge mi ringrazia perché è una fetta di storia.
Perché nel titolo scrive forse speciali e non forze?
Il titolo nasce perché noi alla pari delle altre forze speciali siamo poco conosciuti. In questo reparto c’è gente che si sacrifica tanto. Questi ragazzi rischiano la vita tutti i giorni nel silenzio totale. Per questo per molti, uno è una forza speciale ma per tanti altri, uno, è come tanti, quindi “forse speciale”.
A breve uscirà la versione americana?
Sì e logicamente nella versione inglese americana questo gioco di parole non è stato possibile farlo, perché non avrebbe fatto assaporare il senso, il significato che volevo dare.
Durante le operazioni vi sono regole di ingaggio?
Sì solitamente vi sono sempre delle regole di ingaggio.
Cosa si portava a casa dopo queste missioni?
A casa ti porti un grandissimo disagio che viene poi colmato nel tempo. Vorrei dire che sarebbe utile, così come succede per gli eserciti stranieri che anche l’Italia metta al servizio dei soldati una sorta di reintegro psicofisico.
Che cosa intende dire?
Intendo dire che dovrebbe riconoscere lo stress post traumatico da combattimento, e tutte quelle deformità psichiche che un combattente si porta a casa. Invece questo non accade. Vi sono persone che soffrono e non hanno nessun tipo di aiuto o sostegno.
Durante le operazioni è a lei capitato di avere paura?
La paura è parte del bagaglio che ti porti dietro. Senza la paura si farebbero così tanti errori, perché la paura è un’ottima compagna di viaggio e ti da la possibilità di non sbagliare.
Come si gestisce la paura?
Con l’addestramento. Più ti addestri e più la gestisci. Bisogna rendere la paura utile.
Potrebbe essere più preciso?
Se hai paura sei più attento, sei più allertato, sei più cauto e non avventato e soprattutto, ti fidi e ti affidi a quello che hai fatto in addestramento.
Con le armi che rapporto bisogna avere durante le operazioni?
L’arma è un mezzo che senza l’operatore è innocua. Potrei dire che è l’attrezzo da lavoro di chi fa questo mestiere. Diciamo che è un po’ come il mestolo per il cuoco. Il rapporto che si crea è di estrema fiducia ed estremo rispetto perché questo è l’attrezzo che deve essere parte di te in quella determinata situazione.
Quanto è importante la fiducia tra i componenti della squadra?
Se non hai fiducia negli altri non puoi fare questo lavoro. Chi sta con te durante le operazioni è la tua ombra, e non ne potresti fare a meno. Per questo motivo è molto importante.
A suo avviso sono più pericolosi i lupi solitari o i gruppi terroristici?
Il gruppo terroristico lo conosci e lo monitori e sai come agisce, quindi lo puoi prevedere. Il lupo solitario no, perché è una persona che agisce da sola, manipolata da qualunque altro ma che non ha uno schema ben preciso nella sua testa ed è molto pericoloso ed è difficile da monitorare e quindi da prevedere.
Lei lavora nella ditta di famiglia. Di cosa vi occupate?
La STAM Strategic & Parteners Group si occupa di sicurezza internazionale, intelligence e anti terrorismo.
Qual è il suo compito?
Mi occupo di formazione.
Come si accorge se il ragazzo che ha di fronte ha la stoffa per svolgere questa professione?
All’epoca i nostri istruttori ci guardavano negli occhi e ci dicevano chi sarebbe diventato incursore. La stessa cosa è per me. Gli occhi di una persona hanno una luce particolare. Mi accorgo subito di chi può e chi non può svolgere questa professione.
Qual è l’iter per diventare incursore?
L’addestramento va dalla sopravvivenza, allo sci, all’alpinismo in alta quota, alla fase subacquea, si fanno lanci di alta quota, per citarne alcuni. Diciamo che si fa un iter abbastanza particolare.
C’è una frase che ricorda più di altre?
C’era un grande comandante che è stato veramente un maestro che mi ha sempre detto: fallo, fallo bene e fallo sapere!
Che consiglio può dare a un giovane che vorrebbe intraprendere la sua professione?
Di studiare e di allenarsi e soprattutto di cercare di arrivare sempre più in alto, carrieristicamente parlando. Vi sono persone, come nel mio caso, che non hanno dato tanto peso alla carriera per poter fare la vita operativa. La vita operativa però ha un limite temporale dove, per una questione fisica e mentale, non la si può fare a vita. Per questo motivo la parte carriera diventa importante, perché ti da la possibilità di accedere a tantissime altre cose.
Cosa significa essere un incursore?
Essere un incursore è uno stato mentale. Quando diventi incursore lo rimani a vita.
Qual è il sacrificio più grande che deve affrontare chi svolge il suo lavoro?
Il sacrificio più grande è legato agli affetti, questi infatti vengono trascurati, perché per tutto il periodo in cui uno decide di rimanere operativo ha pochissimo tempo per il resto. Di fatto, sposi il reggimento e vivi in reggimento.
Chi è Claudio?
Sono una persona che vive la vita in modo molto semplice e assolutamente nella media. Chi non mi conosce non direbbe mai che sono un incursore, non mi piace vantarmi mi piace rimanere nel chiaro scuro.
Progetti?
Sicuramente cerco di evolvermi e specializzarmi sempre di più.
Attualmente in cosa è impegnato?
Attualmente abbiamo sposato un nuovo progetto di risposta al COVID 19. “Resilienza” lo abbiamo chiamato così! Facciamo formazione online su diversi temi, uno di questi e come reagire in questa fase di catastrofe mondiale, cercando nuovi sbocchi nuove opportunità senza arrendersi.
Vuole aggiungere altro?
Sì mi rivolgo a tutti! Siate tutti forze speciali e fidatevi delle capacità! Siate assetati di conoscenza, perché il vero potere risiede nella conoscenza.
Sledet.com ringrazia per l’intervista Claudio Spinelli, e ad maiora!
Ottimo resoconto
Fantastico resoconto.
Si potrebbe sapere per favore qualche consiglio su come continuare a resistere fisicamente e psicologicamente nel durissimo addestramento? Per esempio nelle continue marce forzate, nella privazione del sonno ecc? Grazie.
Fallo, fallo bene, fallo sapere. mitico Aniello Colonna all’epoca Colonnello.
buongiorno. prima di tutto complimenti e se posso permettermi.. grazie per poter leggere il suo libro che acquistero’ ed esprimo ammirazione per il risultato conseguito. ai ragazzi miei colleghi che mi chiedono la promozione a capo progetto dico loro che devono prima raggiungere la sindrome del comandante di sottomarino. tutti chiedono ad un superiore ma lui se si volta ha solo acqua e nessuna nuvola o stella dietro cui pensare ci sia un angelo. deve cosi tornare a guardare l’equipaggio, le armi, il mezzo, i sensori e lui stesso. non ha alternative. immagino che un incursore se non ha la squadra possa essere cosi. mi chiedo .. quanto nel loro addestramento l’essere solo sia importante se il primo cardine sia la squadra.